La morte di Serti Ayman: cosa sta succedendo agli adolescenti del 2023?

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Un cuore che non batte più, un’ennesima vita spezzata forse dall’indifferenza, dall’ipocrisia, dalla fretta delle nostre vite e dal gelo dei nostri cuori. È morto semicarbonizzato Serti Ayman, a soli sedici anni. Cosa avrà provato mentre il suo corpo andava in fiamme, se avrà tentato di sottrarsi alle braccia della morte in un estremo tentativo di sopravvivenza, non lo sappiamo e forse non lo sapremo mai, come ancora non conosciamo cosa abbia spinto il giovane a un gesto autolesionistico, se ci siano stati fattori esterni ad influenzarlo o se ad appiccare il fuoco siano state terze persone.

Siamo costretti a fare i conti con un’emergenza sociale

Qualunque sia stato il fattore scatenante della morte del ragazzo, la nostra comunità in pochi giorni è stata costretta a fare i conti con un’emergenza sociale che consiste nell’estrema fragilità dei giovani nel post pandemia, sempre più vittime di violenza o di atti di autolesionismo. Un’emergenza che non riguarda solo le grandi metropoli, ma che ci tocca sempre più spesso da vicino. Ogni giorno nel nostro paese una ragazza o un ragazzo, adolescente, ma anche preadolescente, tenta il suicidio. Le motivazioni sono le più disparate e vanno dall’emarginazione sociale agli atti di bullismo, dall’incapacità di saper gestire i fallimenti alla bassa autostima, derivata da una società sempre più competitiva che guarda solo al profitto, dimenticando che dietro alle singole prestazioni ci sono uomini e non semplici numeri. L’incremento dei casi di suicidio, negli ultimi due anni è del 75%. E sono centomila i giovanissimi che hanno preso la strada della morte sociale, i cosiddetti hikikomori, isolati nella loro stanza, in fuga dall’interazione col mondo. Giovani di cui nessuno parla, perché di essi si occupano le famiglie, spesso, in caso di malattia mentale dei propri figli, lasciate sole ed emarginate, ma che a lungo andare avranno un costo sociale elevatissimo.

Quando la rabbia dei giovani sfocia in violenza

Sono numeri impressionanti che si sommano a quelli relativi alla violenza giovanile, che vede il branco agire contro il singolo, come nel caso balzato agli onori di cronaca alcuni giorni fa della dodicenne violentata da due quindicenni, che hanno filmato le scene per diffonderle sui social network. Alcuni esperti parlano di “analfabetismo delle emozioni” per cercare una spiegazione alla mancanza di empatia e all’estremizzazione dell’aggressività. Sicuramente ormai i giovani non sanno riconoscere le proprie emozioni, non sanno dare loro un nome né controllarle e non sanno più distinguere tra il mondo reale e quello virtuale, dove tutto è concesso e dove per contare qualcosa bisogna avere più like possibili. Questo insegnano i social, questo insegnano gli influencer, questo insegna il mondo di Internet in cui non c’è posto per la riservatezza, né per i sentimenti più nobili. Un mondo in cui qualsiasi minorenne, dotato di un dispositivo digitale, può accedere senza filtri ad immagini di tutti i tipi, comprese quelle di scene cruente di sangue o di pornografia spinta, in cui il sesso non si accompagna mai all’amore.

Occorre un cambio di rotta della nostra società

Si tratta di fenomeni che non possono più essere ignorati e di cui l’intera società è chiamata a farsi carico, a partire dalle piccole comunità. Non si può demandare tutto alle scuole, non si possono lasciare sole le famiglie, occorre un’urgente inversione di rotta che veda coinvolto ogni singolo componente della nostra società. Se i giovani sono il nostro futuro e noi non siamo in grado di prendercene cura in maniera adeguata nel presente, cosa ci possiamo aspettare dalla società del domani?

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