SIGE: focus su sindrome intestino irritabile e microbiota

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Intervista al Professor Bruno Annibale, ordinario di Gastroenterologia all’Università Sapienza di Roma

Professore, come descrivere la sindrome dell’intestino irritabile?

La sindrome dell’intestino irritabile è un insieme di sintomatologie, di scenari clinici non del tutto sovrapponibili, proprio perché si presenta con gonfiore, mal di pancia, alterazioni della evacuazione (diarrea, stitichezza o tutte e due alternanti) e soprattutto dolore, al punto che oggi la scienza è giunta ad affermare che si ha la sindrome del colon irritabile solo se si ha dolore, stando alle linee guida Roma IV per i criteri diagnostici dei disturbi funzionali digestivi, elaborate dalla Rome Foundation – https://theromefoundation.org/rome-iv/rome-iv-criteria/.

Secondo gli studi della Rome Foundation, la diagnosi di sindrome da intestino irritabile è una diagnosi clinica, compiuta ascoltando il paziente, valutando attentamente i sintomi con questionari standardizzati. Un lavoro difficile, lungo, complesso che richiede molta attenzione da parte del medico, a dispetto del poco tempo che si dedica ai pazienti negli ospedali e che rappresenta un ulteriore elemento di difficoltà. Anche perché i centri qualificati che curano questi disturbi non sono così diffusi, circa 30 e distribuiti in modo non uniforme sul territorio nazionale. I pazienti accusano dolore addominale persistente e negli ultimi tre mesi lamentano una alterazione dell’evacuazione sia in senso stitico sia l’opposto, diarroico oppure di alternanza tra i due. Le terapie possono essere diverse, tant’è vero che la sindrome dell’intestino irritabile ancora oggi in realtà riceve un trattamento sintomatico, ma è decisivo avere un colloquio costante col paziente per identificare la possibile cura. Inoltre, è vero che c’è un colloquio, un crosstalk tra il microbiota intestinale e altri sistemi d’importanza centrale per l’organismo umano, per esempio quello immunitario dove ad un microbiota intestinale sano corrisponde, in generale, un livello immunitario più forte. Questo dipende dal fatto che il tratto digestivo è aperto all’esterno e, contenendo normalmente batteri e gli altri microrganismi (virus, funghi) il sistema immunitario intestinale è in grado di capire se siamo di fronte a batteri o virus normalmente presenti oppure di natura patogena. L’intero processo però funziona bene solo se la barriera epiteliale – rappresentata dalla secrezione di muco che ricopre le pareti intestinali dove c’è il microbiota – non si altera a causa dell’azione di farmaci o con l’ingestione frequente di cibi ultra-processati, quindi con conservanti, inducendo una risposta immune. Va però precisato che si tratta comunque di risposte immuno-locali, con alterazioni che non si vedono sull’epitelio, per cui pur facendo la colonscopia, non si registra un arrossamento dell’epitelio tale da motivare una biopsia e rilevare danni microscopici netti e chiari. In pratica non c’è un biomarker, e questo è il problema della sindrome da intestino irritabile – sensibile fino al 50% all’effetto placebo, osservabile negli stuti randomizzati e controllati. Spesso il rapporto di fiducia tra medico e paziente, se instaurato, rappresenta un effetto placebo significativo al punto da determinare gran parte dell’efficacia terapeutica e farmacologica suggerita al paziente.

Dal punto di vista farmacologico c’è modo di intervenire sulla sindrome da intestino irritabile?

Pur limitandosi ad intervenire sui sintomi, ci sono farmaci sia per la stipsi molto efficaci come anche nella variante diarroica. Negli Stati Uniti ed in genere nel mondo anglo- sassone spesso si ricorre anche a farmaci antidepressivi a dosaggi diversi per trattare la sindrome da intestino irritabile, selettivi per il tratto digestivo.

Consigli ulteriori per chi ne soffre?

La prima cosa da fare, come dicono tutte le Linee Guida inclusa quella Italiana pubblicata pochi mesi fa, è quella di escludere delle specifiche malattie che possono mimare lo scenario clinico della sindrome da intestino irritabile. Vanno fatti i test ematici con anticorpi specifici per escludere la celiachia, la disfunzione tiroidea, se ci sono delle vere intolleranze, come quella al lattosio. Nell’età adulta (dai 60 in su) è più che opportuno fare la colonscopia perché il cancro al colon è estremamente prevalente, anche se non c’è alcuna diretta causalità. E se i test sono tutti negativi, allora lì siamo di fronte alla sindrome da intestino irritabile dove bisogna agire con la dieta e con i farmaci sintomatici a disposizione.

Chi è più colpito?

Si tratta di una sindrome soprattutto femminile, specie tra le fasce giovanili della popolazione, con un secondo picco tra i cosiddetti baby boomers (i 60enni e 70enni) che seguono uno stile di vita giovanile e modalità di lavoro ancora attive. Ad essa spesso si associa una grande co-morbidità con i disturbi dell’umore, anche psichiatrici, quali depressione, ansia abbastanza diffusi tra chi soffre di un disturbo cronico che non trova soluzione.

Perché il microbiota è associato alla sindrome da intestino irritabile?

Il microbioma rappresenta il patrimonio genetico complessivo di batteri, virus, funghi e fagi che popolano il nostro corpo in quasi tutti gli organi dalla cute al tratto genitale ed urinario, a partire dalla nascita. Il microbiota rappresenta invece le singole specie batteriche, virali e fungine presenti nel singolo individuo, in particolare nell’intestino. Dal punto di vista terapeutico possiamo agire solo sul microbiota, non sul microbioma. Fisiologicamente, il microbiota è presente lungo tutto il tratto digestivo, con variazioni della numerosità delle specie nei differenti tratti del canale digestivo e varietà diverse di microrganismi. Assodati studi scientifici, dati sperimentali e studi clinici randomizzati hanno dimostrato come una riduzione della diversità delle varie specie di microrganismi nel nell’intestino si associa allo sviluppo della malattia.

I test fecali sul microbiota sono attendibili?

Si tratta di test per lo più commerciali che dimostrerebbero eventuali riduzioni, modificazioni della numerosità, anche di una specie batterica singola, che però le società scientifiche internazionali non hanno mai validato. Di fatto, l’interpretazione di questi test fecali è assolutamente ancora lontana dal farne un esame diagnostico perché, ad esempio, ciò che viene determinato nelle feci non corrisponde esattamente al microbiota aderente all’epitelio intestinale che invece è clinicamente più significativo ma ottenibile solo con la biopsia dell’epitelio intestinale tramite colonscopia. Con i test fecali, abbiamo solo una rappresentazione parziale rispetto a quello che è presente in realtà nell’intestino. Anche perché un microbiota intestinale sano è quello che può contare sulla più ampia diversificazione e miglior bilanciamento di specie batteriche, fungine, virali presenti e non invece sulla quantità, sul numero assoluto di specie.

Non a caso, nel microbiota intestinale, i batteri, i virus, i funghi e i fagi che lo compongono hanno azioni metaboliche di valore fisiologico e pato-fisiologico che, sul piano scientifico, sono oggetto di studio con la metabolomica. Questa metodologia, infatti, studia l’effetto dei metaboliti prodotti da batteri, funghi, virus etc. nelle funzioni intestinali perché sia la motilità che l’assorbimento di sostanze soprattutto nell’intestino tenue – il colon assorbe solo acqua – hanno un’azione più concreta ed attiva. Questo è un concetto che va sottolineato perché, facendo l’analisi del microbiota di individui diversi, a similarità quantitativa di microbiota, un individuo presenta sindrome dell’intestino irritabile e un altro no, perché non basta la conta pura e semplice. Quel che è certo è che ad oggi le conoscenze accurate su microbioma e microbiota, sono ancora un dato sperimentale che stenta ad arrivare in pratica clinica. Di conseguenza, un’efficace farmacologia e strategia terapeutica in grado di modulare questo nostro patrimonio intestinale a lungo termine sono di difficile ottenimento.

È possibile manipolare il microbiota?

La manipolazione e il miglioramento delle popolazioni batteriche, virali, fungine etc. del microbiota non è assolutamente facile. Sono molti e diversi i fattori che ne influenzano la composizione. Tanti farmaci che si usano per vari motivi hanno un effetto sul microbiota. Per esempio, i farmaci in uso per il diabete, come la metformina, ma anche alcuni farmaci per la depressione. Inoltre il microbiota cambia giornalmente secondo quello che mangiamo. È facile capire la complessità di tutti questi elementi, per cui una sola analisi o test fecale altro non è che un semplice fotogramma di un intero film qual è il microbiota.

Dieta, probiotici e prebiotici. Quali differenze apportano al microbiota?

I probiotici non sono farmaci ma integratori alimentari non soggetti a prove di efficacia clinica prima di arrivare sul mercato. Le fibre vegetali solubili ed insolubili, quindi la frutta, la verdura sono prebiotici, cioè sostanze che non possiamo naturalmente digerire, ma ciò avviene grazie al nostro microbiota. Prescrivere il solo consumo di probiotici, non sempre dà risultati del tutto soddisfacenti. Ci sono studi che dimostrano una certa efficacia dei probiotici, quale ausilio, ma non certificano il valore terapeutico come accade per i farmaci. Ci sono poi diete sviluppate appositamente per cercare di contenere i disturbi della sindrome da intestino irritabile come la Fodmap che riduce le fibre e gli zuccheri della frutta. Un microbiota intestinale associato a una dieta regolare e sana – largo consumo di frutta, verdura e legumi, pochissima carne rossa, zero insaccati, uso di cibi fermentati come lo yogurt ed il kefir – favorisce la salute intestinale, insieme alla riduzione di tutti i conservanti alimentari.

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