Un inedito contributo di Carmelo Aliberti su Antonio Scurati

- Cultura, Attualità

“Mussolini, il figlio del secolo” di Antonio Scurati in una riflessione del critico, poeta, professore Carmelo Alberti.

E’ il primo volume di una trilogia, che va dal 1919 al 1925, gli altri due volumi usciranno successivamente. Il libro ha come protagonista Mussolini in prima persona ed è già finalista al Premio Strega 2019. Come di seguito ne parla Carmelo Aliberti.

copertina-scurati Un inedito contributo di Carmelo Aliberti su Antonio Scurati

L’assordante e traumatico tambureggiare de falsi profeti del neofascismo, fondato sulla crisi economica e sulla speculazione politica che quotidianamente sparge sulla stampa terrorismi psicologico per ottundere la fragilità interiore dei popoli,che si vedono vivere in un mare di miseria materiale, prigionieri dell’incertezza e degli inganni della politica,della spietata barbarie con cui Caino stroncò la vita ad Abele e continua ancora, mai soddisfatto, a mietere con cinismo e con soddisfatto sadismo, la sacra vita delle vittime che porgono la mano e versano in ogni luogo il loro sangue innocente e sono costretti a salire sul patibolo dei soprusi,delle esclusioni e di una giustizia che nei secoli ha massacrato molti innocenti,come Gesù Cristo, ora hanno l’occasione di confrontarsi con la storia,imperniando un serio dibattito sullo scottante (anacronistico) periodo dei decenni bui. Antonio Scurati è uno dei migliori scrittori dell’ultima generazione,che dopo il successo e il gradimento del pubblico e della critica, ha affrontato un immane peso di ricerche,per dar vita alla storia del secolo e rinverdire il disegno e le azioni criminose di ogni dittatura in un volume di oltre 8oo pagine ,utilizzando numerosi documenti inediti,confezionando un volume-testimonianza, costruito secondo la teoria manzoniana,fondata sul nucleo del vero,del verosimile e del fantastico. Questo romanzo,che analizza gli anni dal 1919 al 1925 è il primo di una trilogia che dovrebbe raccontare gli avvenimenti fino al 1945, Antonio Scurati (Napoli, 25 giugno 1969) è uno scrittore e accademico italiano. Si laurea in Filosofia a Napoli e prosegue i suoi studi all’École des ùhautes études en sciences socialesde Parigi e completare la sua formazione conseguendo un dottorato di ricerca in Teoria e analisi del testo all’Università degli Studi di Bergamo.
Nello stesso Ateneo coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza e insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo. Nel 2005 diviene Ricercatore in Cinema, Fotografia, Televisione e nel 2008 si trasferisce alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, dove svolge l’attività di ricercatore e docente titolare nell’ambito del Laboratorio di Scrittura Creativa e del Laboratorio di Oralità e Retorica. Ha pubblicato nel 2003 il saggio Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale, finalista al Premio Viareggio.Il suo romanzo Il sopravvissuto (Bompiani, 2005) ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello.Nel 2006, presso Bompiani, è uscito il saggio “La letteratura dell’inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione”: una riflessione su media, dadaismo, letteratura e umanesimo. Collabora col settimanale e il quotidiano Internazionale La Stampa.Nel 2007 viene pubblicato Una storia romantica. Nello stesso anno realizza per Fandango il documentario La stagione dell’amore, un film che indaga sul tema dell’amore nell’Italia contemporanea, riprendendo l’inchiesta realizzata nel 1965 da Pier Paolo Pasolini in Comizi d’amore.[1] Nel 2009 pubblica Il bambino che sognava la fine del mondo, romanzo che mescola realtà e finzione, prendendo spunto dalla cronaca per descrivere impietosamente la fame di tragedie da parte dei mass-media e del mondo dell’informazione in generale. Nel 2010 pubblica Gli anni che non stiamo vivendo. Il tempo della cronaca, una raccolta di articoli sui principali fatti contemporanei di cronaca, politica e attualità. Nel 2015 è uscito, ancora per Bompiani, Il tempo migliore della nostra vita, opera fra il romanzesco e il biografico Nel settembre 2018 pubblica M. Il figlio del secolo, primo volume di una trilogia su Benito Mussolini destinata a raccontare la storia italiana dal 23 marzo 1919 – giorno della fondazione dei Fasci di combattimento – al 1945. Mussolini. si chiude col discorso pronunciato il 3 gennaio 1925 alla Camera dei deputati, instaurazione ufficiale della dittatura dopo la crisi politica determinata dall’omicidio di Giacomo Matteotti, ucciso in un agguato,mentre si recava in Parlamento,con le prove dei brogli elettorali, degli atti di violenza e delle intimidazioni agli elettori,costretti a votare con la porta della cabina elettorale aperta,per consentire alle vigilanti camicie nere di vigilare e segnalare eventuali tradimenti..Di tale delitto,il Duce si assunse in Parlamento la responsabilità.

UNA STORIA ROMANTICA (2010)

  1. La rivoluzione infiamma l’Europa. Milano insorge contro la dominazione austriaca. In soli cinque giorni un popolo conquista la libertà, una nazione nasce, un uomo e una donna si amano perdutamente. Per farlo, tradiscono tutti, rimanendo fedeli soltanto a se stessi, alla terribile purezza di un sentimento assoluto. 1885. Il senatore del Regno d Italia Italo Morosini riceve un manoscritto anonimo. Quelle pagine, con la violenza del rinculo di una fucilata, lo sospingono indietro di quarant’anni, al momento fatidico in cui un manipolo di giovani male armati alzò le barricate per le strade di Milano e sconfisse l’esercito più potente del mondo, abbattendo a sassate l’aquila dell’impero asburgico. Ma in quelle pagine si racconta anche la bruciante passione d amore che travolse la bella Aspasia, allora musa della rivolta, ora fedele e remissiva moglie del senatore. In un mondo invecchiato, in un’Europa insanguinata dal terrorismo anarchico, quando tutte le illusioni sembrano perdute e tutte le passioni spente, il destino picchia alla porta per la resa dei conti. Intrecciato a un potente quadro del nostro Risorgimento – l’epoca più eroica e dimenticata della nostra storia – ambientato e scritto come un romanzo ottocentesco, “Una storia romantica” parla in realtà di noi, di come, straziati da una dolorosa precarietà sentimentale, siamo condannati a vivere tra le rovine di un mondo che sognò gli ideali e gli amori assoluti.

Il figlo del secolo (nov.2018)
“Il fatto è che l’antifascismo Novecentesco non regge più ai tempi nuovi e, dunque, io credo, l’antifascismo va ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo, attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo”. ilLibraio.it ha intervistato lo scrittore Antonio Scurati, in libreria M. Il figlio del secolo, romanzo di oltre ottocento pagine: “Mi sono assegnato un criterio rigidissimo: nessun personaggio, accadimento, discorso o frase narrati nel libro sono liberamente inventati”. Secondo l’autore, “se vogliamo che il fantasma del fascismo smetta di tornare a infestare le nostre case, dobbiamo farci i conti. Narrare è per me la massima forma di esorcismo. Dobbiamo attraversare il fantasma”. Quanto alle preoccupazioni per il presente: “Ci sono indubbiamente molte differenze rispetto a cento anni fa, ma il clima sociale e politico di allora manifesta sorprendenti ed agghiaccianti analogie con quello odierno…”
Nel monumentale M. Il figlio del secolo, in libreria per Bompiani, Antonio Scurati si propone di ricostruire narrativamente la figura di Mussolini seguendo la sua parabola di uomo in parallelo alla crescita e alla disfatta del partito fascista. Nel primo volume, che si dipana dal 1919 al 1924 e si conclude con l’omicidio di Matteotti, seguiamo per oltre ottocento pagine gli esordi e la progressiva affermazione del partito fascista e di Mussolini-leader, tra poderosi zoom sulla vita privata, incursioni nella biografia di tante figure pro e contro il partito e straordinaria attenzione alla mentalità della folla.
Scurati si è sempre occupato di guardare alla storia e alla cronaca , sia da saggista (si pensi ad esempio alla raccolta Gli anni che non stiamo vivendo, Bompiani 2010) sia da narratore, rivolgendosi ora al presente in forme di accurata e allarmante distopiaIl bambino che sognava la fine den mondo.(Il sopravvissuti,ivi 2005) ora ricostuendo il proprio passato e la biografia Il tempo migliore della nostra vita, 2015 di un uomo ben rappresentativo del suo tempo (, dedicato a Leone Ginzburg). Non sorprende, dunque, l’approdo a una scrittura minuziosa e, al tempo stesso, avventurosa in M. Il figlio del secolo.
Per approfondire la scelta di un romanzo dalla tematica così delicata e scoprire di più sulle scelte stilistiche, ilLibraio.it ha intervistato lo scrittore.
Scurati, nel suo romanzo cogliamo una visione pluriprospettica che non condanna e non giustifica la figura di Mussolini. È stato difficile, per chi come lei ha sempre avuto una posizione antifascista?

“È stato estremamente difficile ma non per questo motivo. Questo mio romanzo su Mussolini è il mio massimo contributo all’antifascismo. Ne sono assolutamente convinto, altrimenti non lo avrei scritto. E sono altrettanto convinto che, a lettura ultimata, l’antifascismo verrà rafforzato nei lettori. Il fatto è che l’antifascismo Novecentesco non regge più ai tempi nuovi e, dunque, io credo, l’antifascismo va ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo, attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo. Detto ciò, per uno scrittore democratico, libertario e progressista, quale io sono, immergermi in una narrazione dall’interno della mentalità e dell’esperienza fascista è stato sicuramente uno sforzo immaginativo enorme. Anche e soprattutto perché nessuno scrittore della mia generazione lo aveva mai fatto”.
La scelta del romanzo storico ha comportato una grandissima documentazione da parte sua. I brevi capitoli sono intervallati da stralci di discorsi dell’epoca, articoli, dichiarazioni, graffiti cittadini, diari,… Questa scelta risponde solo a un’esigenza di realismo? Quali criteri ha adottato per scegliere cosa offrire ai lettori?

“Mi sono assegnato un criterio rigidissimo: nessun personaggio, accadimento, discorso o frase narrati nel romanzo sono liberamente inventati. Tutto ciò che viene narrato in M, fino all’ultimo dettaglio, è storicamente accertato o autorevolmente testimoniato. I materiali documentari esibiti alla fine dei capitoli, sempre e solo coevi agli accadimenti, certificano l’autenticità del racconto precedente ma sviluppano anche una narrazione a se stante. Sono rivelatori e commoventi perché spesso dimostrano quanto gli uomini siano ciechi agli accadimenti della loro stessa vita mentre li vivono”.
“L’opera d’arte deve avere il vero per soggetto, l’utile per iscopo e l’interessante per mezzo”: questi erano gli ingredienti fondamentali del romanzo storico secondo Manzoni. Come la pensa? E quanto romanzesco può concedersi lo scrittore?

“La parabola letteraria e umana di Manzoni, il suo approdo al rifiuto del romanzo d’invenzione, è sempre stata per me esemplare. Il suo tormento esistenziale e il suo genio letterario erano in anticipo sui tempi di quasi due secoli. Io credo che oggi, nel XXI secolo, buona parte della più interessante letteratura europea riprenda quel rifiuto. Penso a tutti quei romanzieri che ri-narrano la storia del Novecento su una fortissima base documentale (Littell, Cercas, Binet, Carrère, Petrowskaja, Janeczek, solo per citarne alcuni). È una scelta etica ma anche di poetica. A favore del romanzo non contro di esso. Una evoluzione della forma romanzo. Io mi sono concesso molto del romanzesco: il tono, la prospettiva, la messa in scena, la sintesi onnisciente e avvincente. Molto ma non tutto”.
Oltre a Mussolini, nel romanzo facciamo conoscenza di un intero universo, soprattutto maschile, presentato attraverso figure dell’epoca (tra gli altri, D’Annunzio, Marinetti, Matteotti, Balbo…). Come ha lavorato per ricostruire anche le tante personalità di questi personaggi, che non sono mai solo mere comparse, ma hanno una loro identità narrativa?

“Ho lavorato. Moltissimo. Un lunghissimo e faticosissimo lavoro preparatorio attraverso una bibliografia variegata. La storiografia antifascista, innanzitutto, ma anche quella fascista. La memorialistica degli antifascisti ma anche quella dei fascisti, simpatizzanti o fiancheggiatori, troppo a lungo rimossa col risultato che l’incredibile vicenda del fascismo è stata anch’essa rimossa dalla coscienza nazionale. Un inconscio della storia d’Italia, e d’Europa, che continua a riaffiorare in maniera tragica, nevrotica, dannosa e con il quale, per questo motivo, era giunto, a parer mio, il momento di fare i conti. Le vite di molti fascisti sono state vite avventurose, formidabili, affascinanti e romanzesche all’ennesima potenza. Vite sciagurate, anche, certo. Ma, se vogliamo che il fantasma del fascismo smetta di tornare a infestare le nostre case, dobbiamo farci i conti. Narrare è per me la massima forma di esorcismo. Dobbiamo attraversare il fantasma”.
Le donne di Mussolini: da Margherita Sarfatti all’amante più giovane, Bianca Ceccato, nel romanzo troviamo quadri che descrivono minutamente le amanti storiche attraverso dettagli e abitudini, ma senza mai indugiare eccessivamente. Meno approfondita è invece la figura della moglie. Quanto spazio ha scelto di riservare al privato di Mussolini in questo e nei prossimi volumi?

Il politico deve avere in grado una forma di maschilismo misogino che repelle alla nostra sensibilità ma che ha dominato la cultura italiana e occ“Tutto lo spazio che le testimonianze dirette mi hanno consentito. Mussolini incarnava fieramente e al massimo identale per secoli. Per quella sessualità predatoria le mogli non contavano. Contavano le amanti ‘predate’. Se però io racconto, come faccio, che subito dopo l’amplesso Benito Mussolini è irresistibilmente attratto dal proprio cappello – cioè spinto dall’impulso ad abbandonare la stanza e uscire in strada – è perché lui stesso lo ha dichiarato in una nota autobiografica, vantandosene”.
“La politica richiede il coraggio gretto, cattivo delle risse di strada, non quello arioso delle cariche di cavalleria. La politica è l’arena dei vizi, non delle virtù. L’unico vizio che richiede è la pazienza”. Alcuni passi lasciano il lettore intento a riflettere sul nostro presente… Ritiene che la politica sia questo anche oggigiorno?

“Soprattutto oggigiorno. L’Italia e l’Europa, dopo la fine della Seconda guerra mondiale e dopo la vittoria sul nazifascismo, hanno vissuto una stagione di grandi idealità e speranze politiche, anche se quasi sempre tradite o sopraffatte. Oggi, esauritasi quella spinta, tornati prepotentemente sulla scena pubblica paura e risentimento, la politica è indubbiamente di nuovo scaduta ad arena di vizi. Ci sono indubbiamente molte differenze rispetto a cento anni fa, ma il clima sociale e politico di allora manifesta sorprendenti ed agghiaccianti analogie con quello odierno. Leggere per credere”.
Nel romanzo si trova grande attenzione alla psicologia della massa: a suo parere ancora oggi potremmo farci incantare da un Mussolini sul palco?

“Lo facciamo. Senza condizionale. Benito Mussolini è stato, senza ombra di dubbio, un formidabile innovatore del linguaggio e dell’agire politico. Il fondatore di qualsiasi populismo successivo. Un uomo del popolo – figlio di un fabbro di provincia – asceso al potere grazie a una formidabile intelligenza degli umori del popolo. E del modo di cavalcarli più che di influenzarli. La rivoluzione che apporta al linguaggio giornalistico, suo strumento di conquista del potere insieme alla violenza quadristica, è avveniristica. Niente più discorsi paludati e articolati della erudita oratoria ottocentesca. Frasi martellanti, soggetto-verbo-predicato, e tutte precedute da un ‘Io’ perentorio. Ogni frase uno slogan. Senza nessuna preoccupazione per la verità, la realtà, la fattibilità. Pura emozionalità, o mitopoiesi politica (come preferivano dire i fascisti). Gli articoli del Mussolini giornalista sono gli antenati dei tweet odierni”.
A pagina 139 leggiamo: “Il futuro esiste per riscattare i torti”. La pensa così anche Antonio Scurati o solo il narratore?

“Nelle sue giornate migliori – sempre più rare – la pensa così anche Antonio Scurati. In fondo, il fatto che possa oggi scrivere un romanzo che svisceri l’aberrazione fascista, e i lettori leggerlo e discuterlo, sta a dimostrare che il futuro ha riscattato i torti. Il futuro in cui gli antifascisti di allora speravano ardentemente, disperatamente, pur non vedendone nessun segno all’orizzonte, quel futuro siamo noi. Non dobbiamo mai dimenticarlo”.
M. Il figlio del secolo
(pp.848,Bompiani,Milano2018)

Proprio quando – grazie alla triade W. G. Sebald, Emmanuel Carrère, Javier Cercas – tra le virtù del romanzo contemporaneo sembrava potersi annoverare soprattutto quella di essere strumento di misurazione della distanza tra noi e la storia, intesa come trauma, esperienza irrecuperabile eppure in continua tensione con l’attualità, fantasma della memoria e pietra d’inciampo cui dedicare pazienti appostamenti e pellegrinaggi per cimiteri e contrade più o meno sepolte (si pensi, ad esempio, da noi ad alcuni libri di Eraldo Affinati, Helena Janeczek, Massimo Zamboni, Antonella Tarpino), una letteratura caratterizzata spesso dall’impiego di tecniche ibride, tra reportage e memoir, ecco che Antonio Scurati questa distanza invece la annulla, trascinando il lettore nella polvere accecante del presente storico, come se davvero non si conoscesse l’esito dell’avventura del fascismo, ma la si vivesse pagina dopo pagina nei suoi snodi decisivi, nei possibili destini squadernati, nelle continue correzioni di rotta. Ed è pur vero che questa storia non la si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra, rinfrescata recentemente per obblighi di centenario, ma mutilata si direbbe delle dirette conseguenze (e quindi delle prossime ricorrenze) che in questo primo volume della trilogia vediamo svolgersi cronologicamente, dal giorno di fondazione dei Fasci di combattimento a Milano, il 23 marzo 1919, all’inspiegabile rovesciamento per cui chi ha vinto verrà indotto a sentirsi sconfitto, quindi legittimato a una ulteriore lotta per la vittoria, all’impresa di Fiume, al basculare del paese verso la rivoluzione socialista, alla reazione e al dilagare dello squadrismo, all’inesorabile meccanismo del fascismo che si sottrae alle categorie di giudizio con la dottrina dell’azione, fino allo spavaldo discorso di M in Parlamento, il 3 gennaio del 1925, quando assumerà soltanto su di sé la responsabilità politica, morale, storica “di tutto quanto è avvenuto”.
Con questo suo romanzo Scurati fa opera di divulgazione coraggiosa, che va anche al di là delle intenzioni edificanti espresse; così come la lettura di Marco Paolini, sul sito di Repubblica, assume la qualità di una meditazione senza inganni. Diremmo che è una divulgazione che sa affrontare il pericolo di mettere in circolazione conoscenza viva a proposito di un personaggio dalle inflessioni eroicamente opportuniste, anche quando ce lo rappresenta bohémien irriducibile e persino rinvigorito dall’insuccesso, come davanti alla disfatta elettorale del 1919, intento a spedire bombe sorseggiando un bicchiere di latte. E ci riesce tra l’altro tornando al metodo del romanzo storico più classico, se vogliamo sulla linea di Littell nelle Benevole (anche se lì Maximilien Aue che narrava in prima persona era “solo” un ufficiale delle SS impegnato sul fronte russo) o dell’ottimo La scomparsa di Josef Mengele di Olivier Guez. L’autore, forte del suo distacco generazionale, resta invisibile, senza portare mai direttamente in campo il proprio coinvolgimento emotivo.
Quando W. G. Sebald nel suo Gli anelli di Saturno vuole raccontare la ferocia del colonialismo lo fa proiettando la propria ombra dall’alto di un monumento commemorativo della battaglia di Waterloo, riflettendo personalmente se la “tanto agognata panoramica storica” non significhi forse stare in cima a una montagna di morti. La trilogia di Antonio Scurati si apre in piazza San Sepolcro, Mussolini non ha molto da dire: “La scena è vuota, alluvionata da undici milioni di cadaveri… Li amiamo fino all’ultimo, senza distinzioni. Sediamo sul mucchio sacro dei morti”.
Il romanzo mostra l’animo mobile del fascismo con plasticità, in un travaso continuo tra suscitato e suscitatore: M è colto più di una volta nell’atto di interrogarsi su chi sia la gente che ha di fronte, quasi non si capaciti di essere stato davvero lui a far sorgere “queste folle di pantofolai che all’improvviso impugnano il bastone”, quasi il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”. Protagonisti di M. sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, a cominciare dalle ali poetiche del movimento (Marinetti e D’Annunzio), gli smobilitati della Grande guerra e una nuvola di individui venuti come il figlio del fabbro di Dovia dal basso (cenni biografici dei personaggi principali in fondo al volume). Ma ne è protagonista l’intera comunità nazionale, “il paese opaco” come l’autore intitola un capitolo dell’estate 1924, nel pieno della crisi che segue l’omicidio Matteotti. Sguarnito il campo degli oppositori, nel quale spiccano le indecisioni rivoluzionarie di Bombacci, la statura di oratore fuori del tempo di Turati e il coraggio smisurato e ottuso di Matteotti, l’unico capace di portare con il suo sacrificio Mussolini e le sorti del fascismo all’impasse. E qui Scurati chiude, magistralmente sotto il punto di vista drammaturgico, la prima parte della sua impresa.
Una narrazione lungo il sentiero tracciato dai documenti
Oltre alla qualità della scrittura – esaltata si direbbe dalla materia buia e orgiastica, di quotidiana sfrenata violenza, nella quale l’autore si muove con calma e nervi saldi, tagliente e icastico – particolarmente efficace è la struttura del libro che bissa ogni breve capitolo con i documenti, facendoli brillare della luce riflessa nelle scene e viceversa, appoggiando le parole dei giornali, delle lettere e dei discorsi pubblici a quelle della trama, con una maestria che rasenta la somiglianza per contatto, il calco più della variazione musicale. I documenti sono la spina dorsale della narrazione. Fin dal Rapporto dell’ispettore generale di pubblica sicurezza Giovanni Gasti (giugno 1919) formidabile nel ritrarre “Mussolini Prof. Benito fu Alessandro, nato a Predappio il 29.7.1883”, l’autore sembra dire con fiducia al suo lettore-cittadino, guarda che è tutto disponibile, ci vuole tempo e passione, ma la storia è nelle fonti, intanto eccone il fluire in progressione. Scurati stila una cronaca, composta da un continuum di episodi, con formule finali lapidarie, spesso memorabili (tipo: “Le folle, D’Annunzio lo sa, bisogna farle ondeggiare”; oppure, alle soglie dei quarant’anni quando “L’onorevole Mussolini si concede senza più freni alla propria gioia insolente. È diventato l’uomo che odiava da ragazzo”), che si piantano con il valore instabile della letteratura nel futuro anteriore del populismo italiano. Ogni capitolo reca in testa data luogo e personaggio, in fondo uno stralcio dai documenti, come in un diario dove si conservino anche i ritagli dei giornali; con l’occhio attento a fornire la base per una sceneggiatura (dalla trilogia verrà tratta una serie).
La prima e l’ultima scena sono raccontate in prima persona. Scurati riesce in questo azzardo, fuori dalla caricatura che tanto si addice al suo tragico protagonista, il che non è da poco. Ci fa sentire a tratti la voce interiore di un attore di cui abbiamo inteso, tutti per forza almeno una volta, l’altra voce, quella dal balcone, sostenuta dall’onda sonora dalle acclamazioni, la folla che vediamo nella foto all’interno della sovraccoperta del volume, volti felici di italiani con il cappello in testa o in mano, al cospetto si direbbe di uno spazio retorico e muto, come quello della copertina, dove campeggia l’iniziale di proporzioni dittatoriali. Scurati stacca il racconto dal brusio di fondo, lo chiarifica a colpi di vuoto/pieno, combattenti/parassiti,presbiti/ipermetropi,individuo/massa,adesione/tra-dimento: opposti su cui sa lavorare con talento sintetico da saggista oltre che da narratore, navigando con abilità tra le secche di quelle banalizzazioni che rischiano di ridurre il bisogno di movimento della storia a una infinita rosicata, come si direbbe a Roma, cioè una sorda dinamica di reazioni, vendette, ricatti, rancori, voltafaccia, insomma di basso che preme per salire, di periferia che occupa il centro, di pochi che arrivano a sopraffare molti. (L. Pavolini)
‘Il padre infedele’
Dal fallimento di coppia alla deriva di una generazione: il romanzo-confessione di un padre in crisi di identità, che vaga incolume fra le macerie della società dei consumi ( 2014)
Il giorno più bello della vita schiude le porte degli inferi. Tenerezza, dedizione e incondizionato amore accompagnano verso l’abiezione. Come in un patto geneticamente scellerato, paternità e infedeltà alimentano la radice della nostra specie: “L’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due” diceva il dottor Henry Jeckill nel romanzo di Robert Louis Stevenson. Fin dai tempi di Platone, la dualità della condizione umana è il rebus che in cent’anni la psicanalisi si è arrovellata invano a capire. Padri e madri di questo occidente, quarantenni satolli di vita ma ossessionati dal tempo che passa, anagraficamente incongrui all’esordio genitoriale. Antonio Scurati vi battezza con un libro-confessione a un tempo feroce e consolatorio, luciferino e amletico, dissacrante, disturbante, divertente: Il padre infedele . Non fedifrago o traditore, o meglio non semplicemente questo. Glauco Revelli, chef in carriera e padre novello, è il maschio ontologicamente infedele.Testimone e mallevadore della violenza insita nel parto, quindi bonificatore della nascita dalla mostruosa, leopardiana antinomia, il padre si guarda allo specchio soddisfatto. Ma l’ebbrezza dura un istante. In quella triade appena composta che non può dirsi ancora una famiglia, scopre ben presto di aver perduto la sua identità. Finita la breve stagione di tormento ed estasi votata a un amore che pareva soprannaturale, l’arrivo dell’amata primogenita schiude una stagione malinconica di ribellione repressa. Impreparato al rifiuto coniugale della moglie caduta in depressione, il padre soccombe a una condizione esistenziale di ontologica insicurezza, mescolando totem e tabù in un demoniaco orizzonte di fantasie erotiche serializzate e stereotipate.Nel diario di Glauco Revelli sgorga un flusso di coscienza dominato dal senso di spossessamento e inganno. I pensieri onirici in fase di veglia si mescolano al senso di colpa surrettiziamente indotto dalla società dei consumi. È l’effetto collaterale della paternità terziarizzata. Voi, la generazione boom padrona di un mondo ricostruito attraverso il sudore dei padri, voi che avete barattato la socialità per la carriera, voi che avete acchiappato l’ultimo treno verso l’atavico rito della riproduzione: come potete permettervi di non sentirvi felici? “Quando la bufala è una cosa seria”: il padre infedele è un cuoco, cioè il rappresentante di una nuova generazione di artisti nell’epoca del divismo minore di massa. Scurati ci invita con gusto al banchetto paradigmatico del kitsch metropolitano, plasmato dalle mode, dai social talk e dal passa parola. Food design e lesbismo di ripiego, bebè testimonial e bio-eco mamme, maschi cacciatori e aguzzini del Fate la nanna. Fra un mohito e un negroni, nel retrobottega di quella che fu una trattoria storica milanese tramano gli adepti della nuova rivoluzione antropologica: macchè politica, macchè cultura, brindiamo alla leadership della gastronomia. Io, lei, noi tutti. Se l’infelicità è lo scandalo della società del benessere, come sostare dentro l’insormontabile dualismo? Come rimanere predatori senza uccidere la preda? È possibile, cioè, sopravvivere e continuare ad amarsi? Sulla soglia di questa domanda Antonio Scurati abbandona Glauco Revelli e chiude con una dolce reverie della figlia Anita, ormai adulta, sullo sfondo della periferia milanese. Una voce fuori campo che parla dal fondo del tempo, è come se ripetesse “non sei il solo, non sei il primo, non sarai l’ultimo”.
M. IL FIGLIO DEL SECOLO (2018)

Data la posizione di piano determinante nell’ambito della storia del Novecento,per l’incancellabile impronta lasciata su un cimitero di vittime del totalitarismo nazifascista,un libro di tale livello storico,non poteva non suscitare giudizi contrastanti sia nell’ambito letterario che storico,tra cui quello morbitamente censore di Galli della Loggia sul corriere della sera che sottolinea allo scrittore imprecisioni sulle vicende storiche in cui il protagonista è lo stesso Duce in azione diretta a scrivere le sue imprese,la sua azione di guida della nazione,programma politico del nascente fascismo,con note suggerite dallo stesso Mussolini,dopo l’espulsione dal partit socialista italiano. Come chiarito nell’articolo di Della Loggia, estratto dalla Lettura del Corriere della sera del 13 orttobre 2018
Voglio sperare che ancora oggi se a un esame di licenza liceale uno studente attribuisse a Carducci l’espressione «la grande proletaria» (invece che a Giovanni Pascoli, che la coniò per l’Italia che si accingeva a occupare la Libia ), e definisse Benedetto Croce un «professore» (lui che per tutta la vita gratificò di tutto il disprezzo immaginabile l’Università e i suoi professori, che fu l’antiaccademismo vivente), voglio sperare, dicevo, che lo sciagurato correrebbe seri rischi di essere bocciato.
«M. Il figlio del secolo» di Antonio Scurati è pubblicato da Bompiani (pp. 841). È il primo volume di una trilogia su Mussolini capo del fascismo, che arriverà fino all’uccisione del dittatore nell’aprile 1945. Questo libro copre gli anni dal 1919 al 1925
Non si tratta di due errori qualunque, infatti. Sommati significano in pratica non essere in grado di orientarsi nella storia culturale italiana della prima metà del Novecento. Non possedere alcuni punti di riferimento essenziali. Se poi il medesimo studente avesse pure sbagliato la data di Caporetto, avesse detto che Antonio Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, «porta sulla coscienza sei milioni di morti» (un antesignano pugliese di Hitler insomma), avesse poi definito Antonio Gramsci «un politologo», avesse scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli «elettricisti» e che nel 1922 al Viminale ticchettavano «le telescriventi», e poi ancora, come se non bastasse, a commento della marcia su Roma avesse ri portato alcune righe attribuendole a «Monsignor Borgongini Duca, ambasciatore inglese presso la Santa Sede» (!!) , e a commento della seduta della Camera sulla fiducia al governo Mussolini avesse citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922 (quando l’autore avrebbe avuto 105 anni!), beh: spero proprio che a questo punto il suddetto studente sarebbe sicuro di prendersi una solenne bocciatura.
O forse no, chissà. Infatti tutti gli svarioni citati (ce ne sarebbero altri minori, ma non mi sembra il caso di pignoleggiare) fanno bella mostra di sé nell’acclamatissimo libro di Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, da settimane in testa alle classifiche delle vendite (rispettivamente alle pagine: 199, 537 e 784, 12, 837, 835, 498 e 571, 601, 610). Si tratta di strafalcioni, distorsioni storiche, di confusione di dare,caricature di importanti personaggi della cultura del tempo,che si ritorcono sulla linearità di vicende e personaggi, che,secondo le osservazioni abbassano il livello della qualità dei romanzo. Al di là delle polemiche più o meno parziali,noi riteniamo che il libro di Scurati non è un resoconto storico,dove la precisione di date e vicende è obbligatoria,ma è un romanzo, tra storia e invenzione,che non può essere proibita,perchè ne uscirebbe oscurata la libertà creativa,che è un diritto dello scrittore e di ogni creatura umana,in quanto diritto naurale dell’essere. Nello sviluppo della storia della letteratura Italiana,l’opera di Scurati ,per l’equilibrata intreccio e la congruità di citazioni,documenti storici e limpido scorrimento linguistico si colloca sui più alti livelli della produzione letteraria del XXI secolo.

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