Vi racconterò una storia, lunga secoli, vissuta attraverso le parole di mio nonno, dei miei genitori e oggi mie. Tra loro diverse, ma con due cose che le accomunano e lo faranno sempre: i misteri e i colori. Ma non misteri qualunque, non colori qualunque, bensì quelli della Pasqua della mia Barcellona Pozzo di Gotto. Una settimana, la “Settimana Santa”, in cui si intrecciano emozioni e tradizioni. Generazioni a confronto, proprio come quando a confronto sfilano le Varette nelle metà opposte della città. Ma di questo ne parliamo dopo…
Le parole di mio nonno si rincorrevano rapide e si facevano spazio nella mia mente mentre mi raccontava di quando, oltre ai colori, c’erano anche i sapori, e gli odori. Il profumo di zagara aleggiava nell’aria e lo respiravi, come ossigeno fragrante. E a questo si mischiava anche l’energico profumo dei gelsomini che viaggiava attraverso il vento dalle pianure più prossime. Dalle zagare fiorivano le arance amare e i limoni dalla cui raccolta si ricavavano i guadagni di un’intera annata.
Centinaia di donne sostavano sui marciapiedi mentre le si vedeva cavare gli agrumi e dividere le parti di ognuno in due ceste differenti: una per le bucce, l’altra per gli spicchi. Era questo il lavoro degli “spiritari”, proprio perché lo spirito era l’essenza più pregiata del procedimento. Oggi a mancare all’appello sono solo i profumi delle zagare e dei gelsomini, perché l’aria si è sporcata di progresso, la fragranza dei fiori non è più la stessa. Rimangono solo i colori. E i colori della Pasqua riscaldano il cuore con un calore che non si spegne mai.
La “Sumana Santa” si apre con la Domenica delle Palme, in cui la liturgia ricorda la trionfale entrata di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, mentre la folla lo acclamava sventolando palme e creando una “passerella” con i propri mantelli. La tradizione, dettaglio in più dettaglio in meno, si è conservata. I bambini tengono in mano rametti di ulivo o piccole palme, addobbate con caramelle e cioccolatini e ancora, qui, colori e sensazioni, significati. Moltissimi sono quelli legati al rametto di ulivo, a partire proprio dal fatto che “Cristo” significa unto ed è in effetti l’unto del Signore e proprio l’olio d’oliva viene utilizzato nei riti cristiani dell’estrema unzione e del battesimo, mentre nella tradizione ebraica l’ulivo è simbolo dei re. Certamente rimane il significato che più spontaneamente si riconduce all’ulivo: la pace. Il clima non può essere non altro che festoso e sereno, i bimbi si rincorrono e fanno a gara a chi ha la palma più grande, con più nastrini e con più caramelle. Tra gli adulti, invece, regna la cordialità e la pace interiore di ognuno.
E poi viene il giovedì Santo. Il gran teatro prende vita con i dodici attori, popolani travestiti da apostoli, colti in una ricerca che dovrebbe essere disperata, per aver perduto le tracce di Gesù. Ma loro continuano a peregrinare attraverso chiese e tabernacoli, dopo la “lavanda dei piedi”. Il giorno dopo gli attori non sono più popolani, ma statue di legno, cartapesta, gesso. Ora entrano in scena le protagoniste, l’essenza dello spettacolo: le Varette, con i loro colori e profumi. I colori che le ornano sono i più simbolici. Esse si snodano in una ricchezza di fiori e luminarie, oltre alle innumerevoli tipologie di frutti. In occasione del Venerdì Santo, lungo le vie urbane, si svolgono infatti a Barcellona due distinte e simultanee processioni, che si vanno poi ad incontrare e confrontare sul greto ormai coperto del torrente Longano. La ragione va ricercata nella doppia anima della città. Una antica e profonda, l’altra sfarzosa e appariscente. L’origine di questa duplicità sta proprio nell’annessione dei comuni di Barcellona e Pozzo di Gotto per ordine di Ferdinando II re delle Due Sicilie. Anticamente erano due borghi limitrofi separati dal fiume Longano: il primo apparteneva al territorio di Castroreale, mentre il secondo a Milazzo. Nel 1621 i pozzogottesi diedero vita ad una lunga e dolorosa protesta contro l’arroganza ed i comportamenti vessatori dei Giurati di Milazzo e, oltre ad altre iniziative, diedero vita ad una processione con cinque vare in segno di “Voto”. Finalmente nel 1639 Pozzo di Gotto ottenne l’autonomia. Barcellona, invece, dovette attendere fino al 1815. I due Comuni si unirono nel 1836, sotto la denominazione di “Barcellona Pozzo di Gotto” ma l’origine della sacra manifestazione barcellonese risale invece al 6 aprile 1871. In una memoria si legge: “Per la prima Passione concorrono tutte le migliori famiglie alla contribuzione per formare tutti i Santi e particolarmente la chiesa di San Giovanni, a proprie spese, formò la varetta della Cera e il Crocifisso spirante per restare una memoria per l’avvenire per tutti quelli che verranno in appresso”. Ma usi e costumi delle rispettive processioni negli anni a seguire restarono immutati. Si dice che le “Varette” di Pozzo di Gotto fossero e sono più drammatiche, ed effettivamente è vero. Ma a quelle di Barcellona bisogna riconoscere il primato della fastosità. La più bella era sempre l’Ultima Cena, per come era addobbata: uva e meloni, corniole e zibibbi, nespole e ciliegie, fichi e datteri, non quelli delle odierne serre, poichè allora la frutta arrivava dai paesi lontani, dai tropici, dal Sud America. I fiori giungevano invece da Sanremo, sui vagoni ferroviari pieni zeppi, e si andava a vederli scaricare per la grande meraviglia che regalavano. Vagoni carichi di garofani, rose, tulipani, sterlizie, bocche di leone e campanule. Adesso, se non dalle serre locali, i fiori arrivano da Vittoria. Tuttavia lo zelo resta sempre lo stesso, come la sfida a chi “para” (abbellisce) meglio la varetta. La gara, un tempo si svolgeva tra le corporazioni artigiane, ma oggi si sono perduti i vecchi mestieri e resistono ancora i macellai, i fruttivendoli e i pescivendoli, la cui sopravvivenza fa ricordare con nostalgia, specialmente ai nostri avi, quelle tradizioni ormai in disuso di un tempo lontano, ma che in fondo così lontano non è. Ancora oggi, però, come ai bei tempi, i “visillanti” si riuniscono dopo la processione in magazzeni che assomigliano a quegli degli “spiritari” per festeggiare con “piscistuccate” alla ghiotta, farcite con acciughe e olive. Il tutto condito da un esplodere di brindisi. La festa della Resurrezione inizia da quel vino. Ma chi sono questi “visillanti”? Sono coloro che cantano la “visilla”, la parte più singolare della processione. Ogni vara, a eccezione di quella dell’Urna col Cristo Morto, si porta dietro una polifonia di voci popolane che intonano un antico motivo, composto dal poeta latino Venanzio Fortunato: la “Vexilla Regis” (Cantiamo i Vessilli del Re). La cantano a squarciagola, ma con una melodia tradizionale, forse di origine locale, che esprime la semplicità religiosa dell’anima popolare. Ed è un saliscendi di acuti e controcanti gutturali in cui si perde il senso delle parole per esaltare la vitalità di espressione.
La settimana prosegue con la Veglia del sabato, che apre le porte alla domenica della Resurrezione: gli abiti “da festa”, la Santa Messa e il lauto pranzo pasquale sono i motivi caratterizzanti di un giorno gioioso, contrappasso di un percorso di dolore che ci ha accompagnati fino alla sera del Venerdì Santo. I riti pasquali si chiudono definitivamente il lunedì dell’Angelo, ormai noto a tutti come “’A Pasquetta”, in cui le gite fuoriporta chiudono degnamente una settimana in cui la passione per nostro signore Gesù ci ha condotto lungo un cammino altalenante fra gioia e dolore.
Indubbiamente la tanta varietà e molteplicità di cerimonie fanno sì che la “Sumana Santa” a Barcellona Pozzo di Gotto abbia una grande forza rappresentativa che va ben oltre la religione. In modo simbolico e teatrale vengono infatti rigenerati il senso e l’identità della vita delle diverse comunità che seguono riti e tradizioni che vanno a toccare anche chi non è credente. Le cerimonie della Passione di Cristo e l’immensa sacralità della sua rappresentazione non sono altro che le tradizioni, la storia, i sapori, gli odori, i colori della terra, della NOSTRA terra. Cerchiamo, soprattutto noi giovani generazioni, di tenerne viva la memoria il più a lungo possibile.
Martina Crisicelli
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado
“Foscolo” di Barcellona P.G.