Riabilitazione e inclusione Anfild: la soddisfazione delle famiglie

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Nel cuore della frazione di Santa Venera, a Barcellona Pozzo di Gotto, è da poco “operativa” una nuova realtà che è riuscita ad accreditarsi con il S.S.R. e che sta riscontrando il favore di tante famiglie che da tempo attendevano risposte adeguate nel “poco ricco” panorama della riabilitazione e dell’inclusione sociale della provincia di Messina. Il Centro Anfild, secondo le famiglie interpellate che hanno inteso far sentire la loro voce, sembra “finalmente rappresentare quella risposta alle speranze nutrite per tanto tempo da chi quotidianamente vive la realtà della diversità e della disabilità grave“.

A dirigerlo è la Sezione di Messina dell’Anfild (acronimo di Associazione Nazionale Famiglie per l’Integrazione e la Lotta alla Disabilità) presieduta da Francesco Milone. Anfild è un Ente No Profit del Terzo Settore che persegue finalità di solidarietà sociale, con l’obiettivo di garantire a tutte le persone, indipendentemente dalle loro condizioni, il diritto ad una vita dignitosa ed il più possibile indipendente. Lo fa offrendo servizi ambulatoriali e semiresidenziali di altissimo livello in un ambiente moderno, sicuro e accogliente, colmando un vuoto decennale nel territorio del distretto e ponendosi come un punto di riferimento essenziale per la comunità.

Se la struttura, progettata ad hoc per l’assistenza semiresidenziale, coglie il favore degli utenti sotto il profilo della funzionalità, è sotto altri profili che risulta essere “speciale”: nella sua capacità di rispondere non solo alle esigenze sanitarie e riabilitative ma, soprattutto, a quelle umane e relazionali delle persone disabili.

Gli utenti – riflettono le famiglie – non devono mai, infatti, essere considerati semplicemente pazienti o assistiti ma individui con desideri, passioni e potenzialità e il feedback che giunge dalle famiglie, per l’appunto, racconta l’entusiasmo trasmesso dai loro cari nel sentirsi davvero accolti, valorizzati e supportati”.

Mia sorella riceve costantemente rinforzi – racconta G.F. – si sente considerata e rispettata nella sua dimensione e nelle sue ‘marce di velocità” e ancora un altro familiare riferisce: “Mio fratello non era molto propenso a uscire, anzi preferiva spesso isolarsi. Da quando frequenta il centro è il primo in casa a prepararsi e chiede con insistenza a che ora sarà accompagnato“.

Le attività riabilitative in regime semiresidenziale, va detto, sono diverse dalle altre ambulatoriali (limitate agli aspetti riabilitativi) o a quelle residenziali in cui è forte la distanza dalla famiglia e l’isolamento in comunità. È una modalità intermedia in cui, agli aspetti medici, si accompagnano quelli socializzanti che restituiscono una dimensione vera ai disabili e quel ruolo autonomo e da protagonisti che troppo spesso viene loro negato da barriere oggettive e soggettive. “Mia figlia non aveva molti spazi di socializzazione, purtroppo spesso il televisore a casa era il suo amico. Non sceglieva mai niente, quando le chiedevo cosa volesse fare mi rispondeva ‘quello che vuoi tu’. Oggi finalmente frequenta questo centro in cui tutto il personale contribuisce a rendere le giornate migliori. Adesso fa quello che non faceva mai: prende l’iniziativa”, sottolinea una mamma. Un’altra aggiunge: “Mio figlio mi sembra più attento, partecipe, decisamente meno apatico… ogni volta che sa che ci sarà un momento comune, sembra al settimo cielo. Lui che ama molto la musica, vive con grande piacere le attività in cui la musica è protagonista”. Giusy, per esempio, una giovane donna cinquantenne con una importante disabilità cognitiva ci racconta: “ho trovato tanti amici e tutti mi vogliono bene e mi rispettano, mi fanno anche tanti complimenti per i miei lavoretti di punto croce“.

Tra i punti di forza di questa esperienza, secondo i familiari, vi è l’équipe guidata dal neurologo dr. Antonino Abbate e dal dr. Pietro D’Alessandro, che si avvale di terapisti, psicologi, assistenti sociali, infermieri e di altri operatori specializzati che, armonicamente, hanno dato equilibrio ad una esperienza la cui unica pecca, a volerla trovare, è l’esiguo numero di persone accoglibili. Ancora tante, infatti, le famiglie costrette a cercare soluzioni frammentarie certo poco adatte a garantire un reale percorso di riabilitazione e realizzazione dell’integrazione possibile. “Speriamo – concludono – che chi decide possa, una volta tanto, aiutare a crescere queste realtà positive che, proprio perché poche e spesso abbandonate a se stesse, devono trovare il giusto supporto per realizzare tutte le loro potenzialità ancora inespresse”.

“È un buon inizio, – concludono le famiglie – ma speriamo cresca ancora”.