ADHD, qual è il ruolo dell’alimentazione?

- Salute e Benessere

A cura di Simona Rosina, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta cognitivo, Campus Crescita Auxilium di Barcellona Pozzo di Gotto

Il Disturbo da Deficit d’Attenzione con Iperattività (ADHD) all’interno del DSM-5 viene classificato tra i Disturbi del Neurosviluppo (APA 2013) ovvero un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo e conseguente compromissione del funzionamento sociale, personale o scolastico. L’ ADHD è caratterizzato da un pattern di disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con il funzionamento globale del bambino. L’incidenza del disturbo è del 4% di bambini in età scolare.

Le linee guida per il trattamento dell’ADHD (SINPIA 2002) individuano nel Training Cognitivo Comportamentale (CBT) l’intervento riabilitativo d’elezione allo scopo di apprendere, utilizzare e generalizzare efficaci modalità di autoregolazione del comportamento. Tale intervento risulta particolarmente utile anche in associazione al Parent Training ovvero un intervento che consente ai genitori di apprendere tecniche efficaci per la gestione dei comportamenti problema del bambino. Un’altra strategia di intervento per l’ADHD è quella farmacologica basata sull’uso di psicostimolanti tra cui il Metilfenidato, come da Linee Guida dell’American Academy of Pediatrics. Dai dati di un famoso studio scientifico, lo studio MTA, si evidenzia che l’efficacia del trattamento cognitivo comportamentale è potenziata dalla terapia farmacologica con psicostimolanti.

Negli ultimi anni molti studi scientifici sono stati rivolti anche all’individuazione di eventuali correlazioni tra carenze nutritive, stile nutrizionale ed espressione sintomatologica tipica dell’ADHD per rispondere alla domanda “c’è un ruolo che l’alimentazione può avere nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività?”.

Diversi studi sono stati rivolti a dimostrare che nella genesi dell’AHDH possano essere implicate una maggiore sensibilità alimentare IgE mediata e le intolleranze alimentari. Tra questi studi ritroviamo quello della dottoressa Doris Rapp, professore associato di clinica pediatrica presso la State University di NY a Buffalo, la quale afferma che una delle ragioni della disregolazione comportamentale e delle difficoltà di apprendimento può essere l’assunzione di alcuni alimenti o l’esposizione ad odori chimici o sostanze allergizzanti comuni. Nel suo scritto “Is this your child” viene messa in luce, nei bambini iperattivi, la carenza di un enzima necessario per la detossificazione del corpo da parte di alcuni batteri intestinali.

Lo studio olandese di Jan Buitelaar pubblicato sulla rivista “The Lancet” ha rilevato che la maggior parte dei bambini appartenente al campione ha registrato, dopo la somministrazione di una dieta oligoantigenica, un significativo miglioramento clinico dell’iperattività.

Un altro fattore alimentare preso in considerazione come possibile agente etiopatogenetico è l’aumentato consumo di zucchero (bibite zuccherate, merendine…) come emerge anche dagli studi della dottoressa Mary Ann Block. La Block sottolinea che la crescita dell’ADHD è andata di pari passo con l’aumento dell’obesità infantile. Poiché l’obesità è legata allo squilibrio insulino-glicemico causato dall’abuso di zuccheri semplici e poiché l’abuso di zuccheri e l’alterazione ipo o iper glicemica provoca iperattività, è possibile considerare l’esistenza di un nesso, da esplorare in maniera più attenta, tra questo fattore e l’espressività clinica dell’ADHD. Il controllo dell’assunzione di zuccheri, prediligendo carboidrati integrali piuttosto che raffinati, può quindi contribuire a ridurre l’iperattività nei bambini.

Non solo gli zuccheri semplici ma anche gli additivi alimentari sono stati negli anni oggetto di studio come possibili fattori scatenanti di una significativa iperattività. Agli anni ’70 infatti risale “l’ipotesi Feingold” secondo la quale molti bambini iperattivi (nella misura del 40-50% circa) sono sensibili ai coloranti e ai conservanti alimentari artificiali, come pure ai salicilati e ai composti fenolici presenti naturalmente nei cibi. Questo affermava Feingold in base agli studi eseguiti su oltre 1200 casi in cui gli additivi alimentari sono stati collegati a problemi di apprendimento e di comportamento

Studi successivi, quale quello eseguito nel 1980 dal Dr. James M. Swanson e pubblicato su “Science”, hanno dimostrato che, ad esempio, la tartrazina (colorante alimentare utilizzato in bevande gasate, caramelle e gomme da masticare, gelatine, budini, yogurt) aveva compromesso significativamente la performance dei bambini iperattivi ai test di apprendimento somministrati.

Parallelamente, però, gli studi scientifici pongono attenzione anche alle carenze nutrizionali, sempre più diffuse sia a causa di un’alimentazione non equilibrata sia perché molti alimenti hanno perso una grande parte del loro potere nutrizionale a causa dei trattamenti con fitofarmaci e dell’inquinamento ambientale.

Negli ultimi anni è cresciuto, quindi, l’interesse per l’uso di nutraceutici e integratori alimentari che possano sopperire alla carenza di omega 3 (EPA, DHA) ferro, vitamina D, folati e vitamine del gruppo B. Diversi studi, tra cui quello recente di Wang (2019) ha evidenziato nei bambini ADHD, rispetto ai controlli, una carenza di vitamina B12, folati, vitamina B6, ferritina e acidi grassi monoinsaturi ed invece valori più elevati di acidi grassi monoinsaturi come esito di un’alimentazione povera di vegetali, frutta e proteine in favore di grassi e zuccheri.

In atto gli studi clinici con maggiori evidenze cliniche sono quelle su EPA e DHA, acidi grassi polinsaturi che supportano molte funzioni vitali dell’organismo tra cui il sistema immunitario. Nei bambini ADHD è stata riscontrata una carenza dei livelli di tali acidi grassi per cui sono state condotte numerose ricerche sulla supplementazione con tali acidi grassi come approccio coadiuvante nel trattamento dell’ADHD (Banaschewski 2018). L’integrazione con EPA e DHA sembra contribuire a migliorare la sintomatologia inattentiva in bambini con ADHD così come la capacità di scrittura e di lettura.

Questo articolo è solo una breve disamina di quanto presente in letteratura scientifica e sicuramente non può essere considerato completamente esaustivo. Prenderemo in considerazione infatti, nei prossimi articoli, il ruolo della carenza di Vitamina D e di Magnesio nell’espressività clinica dell’ADHD.

BIBLIOGRAFIA

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Dr Lidy M Pelsser, MSc, Klaas Frankena, PhD , Jan Toorman, MD , Prof Huub F Savelkoul, PhD , Prof Anthony E Dubois, MD , Rob Rodrigues Pereira, MD , Ton A Haagen, MD, Nanda N Rommelse, PhD , Prof Jan K Buitelaar, MD, Effects of a restricted elimination diet on the behaviour of children with attention-deficit hyperactivity disorder (INCA study): a randomised controlled trial. The Lancet February 05, 2011

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