Punti di vista sulla violenza di genere: tra vecchi e nuovi pregiudizi

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Non ho voglia di cercare uno sfondo colorato, delle foto di impatto e un font carino, non per la “celebrazione” della giornata contro la violenza di genere. Non ne ho voglia, perché so che oggi e domani saremo sommersi da post stupendi, locandine magnifiche e manifestazioni accorate da parte di persone, che magari domani non esiteranno a ridere ad “un’insignificante” battuta sullo stupro, dopo aver detto alla propria ragazza che non può assolutamente andare in discoteca questo fine settimana. Temo anche che queste mie parole saranno gettate al vento o giudicate proprie di una misandrica, perché forse sono stata e sono troppo radicale quando vado su tutte le furie le innumerevoli volte in cui leggo “non tutti gli uomini”.

“Non tutti gli uomini”, però sono morte 107 donne, perché donne, solo quest’anno.

Sento spesso dire che muoiono anche gli uomini, allora perché non si parla di “maschicidi”? Dovrebbe essere conoscenza comune, ma mi sento di riportare la definizione di femminicidio:

«qualsiasi forma di violenza esercitata in maniera sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico della donna in quanto tale, fino alla schiavitù o alla morte»

Non credo ci sia molto da aggiungere o argomentare al riguardo. I carnefici di cui leggiamo nelle (pessime) testate giornalistiche non uccidono, perché “troppo innamorati”: non si tratta di delitto passionale, di ira momentanea, si tratta di un gesto sistematico che vede la donna come un mero oggetto di proprietà dell’uomo, che può giocarci come vuole, come se fosse una bambola di pezza. Il motivo, il famoso movente che si ricerca costantemente, sta alla base della società ed è il patriarcato.

Patriarcato significa “legge del padre” e storicamente il termine indicava il predominio del padre sulla famiglia in ambito domestico. Oggi, invece, con questo termine intendiamo una società in cui il potere è prevalentemente nelle mani degli uomini. Ma come si manifesta?

Naturalmente la punta dell’iceberg sono gli stereotipi di genere, che nemmeno ci rendiamo conto di assecondare: ovviamente è più importante per l’uomo fare carriera, ovviamente la donna è più adatta a svolgere i lavori domestici e ovviamente deve essere l’uomo a portare i soldi a casa.

Altri modi in cui si manifesta la società patriarcale, così radicati nella coscienza comune che molte volte sono considerati normali, sono ad esempio il catcalling, le molestie subite in strada, le battute sessiste, tutto ciò che fa parte della cultura dello stupro:

image Punti di vista sulla violenza di genere: tra vecchi e nuovi pregiudizi

«(…) un complesso di credenze che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne. Questo accade in una società dove la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta. In una cultura dello stupro, le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come “normale” il terrorismo fisico ed emotivo contro donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale sia “un fatto della vita”, inevitabile come la morte o le tasse.»

Tutti quegli atteggiamenti che sono potenzialmente innocui, scherzosi, messi in atto senza consapevolezza sono alla base di questo fenomeno, che colpisce tutte le donne.

Perchè sì, “non tutti gli uomini”, ma tutte le donne. Sfido chiunque a trovare una donna che non sia stata soggetta nella sua vita ad almeno un tipo di violenza. Quelle immuni sono poche e fortunate. Parlo di fortuna, perché è di questo che si tratta, non di essere caute, di vestirsi bene, di non bere, di lasciare il fidanzato tossico, di “non andare all’ultimo appuntamento”. Si tratta di non incontrare la persona che pensa di avere il diritto di non ascoltare un “no” o di poter ucciderti a sangue freddo e gettarti da un dirupo in un lago.

Noi donne viviamo con questa consapevolezza ogni giorno, ogni volta che viene fuori l’ennesimo caso, e la società che cosa fa? Giustifica i colpevoli. I giornalisti scrivono del bravo ragazzo che preparava i biscotti, l’intelligente di turno dice che se l’è cercato, perché aveva una gonna e aveva bevuto un gin tonic di troppo, gli amici dicono che in fondo “le è piaciuto dai”, un ministro come Matteo Salvini velatamente quasi mette in dubbio la colpevolezza di un uomo che ha ucciso con venti coltellate l’ex-ragazza perché di buona famiglia…

Però io sono esagerata se ne parlo, se sono arrabbiata, se scrivo in un post che vivremmo meglio senza gli uomini, come se gli uomini possano sapere cosa significa provare quella paura e quel senso di impotenza di fronte a tutti quei gesti.

Però quando leggo la notizia dell’ennesimo femminicidio questa è sempre costellata da commenti di uomini che si professano diversi, che si sentono offesi, perché la generalizzazione non va fatta, ponendo il proprio ego davanti al dramma che si sta vivendo.

Però sento ogni giorno battute sul fatto che ormai si è discriminati per essere uomini bianchi etero, come se viveste nel paese dei balocchi.

Mi rendo conto di desiderare di essere un uomo la maggior parte del tempo, la mia vita sarebbe più facile, i miei obiettivi più raggiungibili e i miei traumi minori, però in realtà voglio lottare per essere donna in una società migliore di questa, che non ti dia possibilità solo in base al tuo sesso.

So che l’unico modo per far sì che ciò accada è l’educazione, ma non quella impartita alla mia generazione basata su azioni di facciata e giornate dove viene fuori solo l’ipocrisia umana. Serve l’educazione che nasce dal buon esempio, dal capire veramente che il valore di ogni persona è lo stesso, indipendentemente dal sesso.

L’unica soluzione è cambiare i vertici della società. Come farlo mi è sconosciuto…

Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Se non ti dico che vengo a cena. Se domani, non vedi arrivare il taxi.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in una borsa nera.
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia.
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata.
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata.
Mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata.
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato, che erano i miei vestiti, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico avesse delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Lo giuro, mia cara mamma, ho urlato forte così come volavo alto.
Lui si ricorderà di me, mamma, saprà che sono stata io a rovinarlo quando avrà di fronte il volto di tutte quelle che urleranno il mio nome.
Perchè lo so, mamma, non ti fermerai.
Però, te lo chiedo per quello che ami di più al mondo, non trattenere mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non privare di nulla le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Combatti per le loro ali, quelle ali che mi sono state strappate.
Combatti per loro, che possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché urlino più forte di me.
Possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.

-Cristina Torre Cáceres,
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