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“Lo racconto a 24live”, la riflessione di un barcellonese a Pistoia

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Il docente di Lettere, Tindaro Natoli, barcellonese trasferitosi a Pistoia da sei anni per inseguire il sogno (diventato realtà) di una cattedra, ha sempre vissuto i riti e le tradizioni pasquali della sua Barcellona. Le vacanze previste da calendario scolastico sono sempre state per Tindaro, uno tra i primi collaboratori di 24live, un momento per riabbracciare i suoi cari ed i tanti amici, soprattutto del quartiere Sant’Antonino, dove è cresciuto e dove risiedono i genitori. Quest’anno l’emergenza Coronavirus l’ha costretto a rimanere responsabilmente a Pistoia e, dopo il video saluto per l’iniziativa #lontanimauniti, ha voluto pubblicare una sua riflessione sul momento che stiamo attraversando.

Era un rumore che si sentiva piano piano e che veniva da lontano, poi il suo ritmo, non sempre ben interpretato, è diventato più coinvolgente ed incalzante, il volume crescente, finché ho dovuto ascoltarlo per forza, come tutti del resto, cambiando le mie abitudini e rimodulando me stesso, principalmente nei confronti del lavoro, dovendomi rapportare con una certa solitudine, con i pensieri e con quel senso di straniamento che in questo periodo ci circonda.

Così ho vissuto l’arrivo del virus. Dopo essermi lasciato, mio malgrado, la città del Longano alle spalle, col suo nome scritto su un’insegna che si allontanava, da sei anni insegno, generalmente contento e fiero, Italiano e Storia nella scuola secondaria a Pistoia. La città è famosa per i suoi vivai, è accogliente ed operosa, il cibo tipico sa di vita contadina e rotonda abbondanza al tempo stesso; vivo in un grazioso centro storico che parla ancora dell’età dei Comuni e dello Stilnovo, in una casa col soffitto tenuto da travi in legno e mattoncini, mai visto prima di venire ad abitare qui, dove ho intessuto anche relazioni significative.

Nei miei programmi sarei dovuto ritornare a Barcellona per Pasqua ed ho atteso l’ultimo decreto utile  prima di decidere se chiedere il rimborso dei biglietti – prenotati da tempo e pur sempre costosi – nonostante già sapessi dentro di me quale sarebbe stato l’esito, cioè quello dell’estensione temporale delle misure di contenimento, con la conseguente mia permanenza a Pistoia (dove, ironia della sorte,  non posso neppure vivere e condividere le tradizioni pasquali del luogo). Nel clima di confusione e panico che si è creato in Italia ad un certo punto, io ho deciso di rimanere sul posto di lavoro anche perché non sapevo quanto la sospensione delle attività didattiche sarebbe durata, non lo immaginavo neppure a dire il vero, e poi il mio senso del dovere mi diceva che sarei dovuto rimanere a disposizione della scuola. Successivamente i tempi si sono allungati e anche la consapevolezza della pericolosità del virus con la conoscenza, nel mio caso, della diffusione dei contagi in Toscana, così ho deciso di rimanere qui: come avrei potuto, in un clima di incertezza anche delle informazioni, rischiare di incontrare il morbo, magari per strada, e di portarmelo dietro, contagiando in primis i miei cari? Perché avrei dovuto creare possibili problemi sanitari ad una comunità? Inoltre, questione non secondaria, come avrei potuto affrontare l’acque fatali ed il diverso esiglio della didattica a distanza senza i miei libri? Perché non rispettare le indicazioni, che tutt’ora ci danno?

Non nascondo che le ultime due ondate di esodi dal nord Italia verso il sud hanno suscitato in me grande rabbia e ilarità; la prima per un comportamento ritenuto ansioso ed irresponsabile: non piace a nessuno stare forzatamente lontano dagli affetti o sentirsi limitato negli spostamenti, inoltre quell’esodo quasi incontrollato mi ha fatto pensare che quei molti o pochi rimasti in qualsiasi posto della penisola, avrebbero avuto problemi a spostarsi in caso di reali necessità, mentre quella gente aveva sfidato il pericolo trascorrendo la notte in vagoni affollati e senza ricambio d’aria; la seconda per la fuga quasi ridicola e rocambolesca, per lo meno questa è stata l’immagine che i media mi hanno comunicato, di quella gente presa dal panico che scappava in stazione, immersa nella propria visione miope di una realtà che, invece, si è rivelata complessa e varia, con problemi sociali, economici e sanitari.

Quindi continuo qui la mia vita, fatta di studio e lavoro, di videochiamate e di scherzi, di esperimenti in cucina, di saluti dalle finestre, di  uscite centellinate e di abluzioni. Osservo la città immersa nel silenzio, il traffico rallentato e ogni sera sento passare la macchina con un altoparlante che ripete le istruzioni da seguire; si aspetta ordinatamente in fila e distanziati l’ingresso al supermercato o in panetteria. Ieri sono arrivate anche nella via in cui abito le due mascherine usa e getta che il Comune sta distribuendo per ogni residente, in ottemperanza dell’ordinanza della Regione che impone di uscire con la bocca coperta.

Credo che, purtroppo – o per fortuna, questa situazione ci stia facendo capire che non siamo immortali, che il benessere della nostra epoca non è scontato, che lo stare a casa ci stia facendo riscoprire il valore dello scorrere del tempo, della pazienza e della tolleranza; il virus, se guardiamo bene, ci ricorda che c’è chi sta peggio di noi, dentro e fuori dall’Italia, e che abbiamo bisogno degli altri, della loro presenza. Con un bel sorriso e la fiducia nel futuro, concludo questa mia condivisione; saluto e ringrazio chi è arrivato fino in fondo nella lettura, nonché i carissimi e instancabili amici di 24live per lo spazio concessomi.

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