Artrite Reumatoide: importanza di una diagnosi precoce

- Medicina e Salute

L’Artrite Reumatoide (AR)

è una malattia sistemica, cronica che colpisce le articolazioni, causando infiammazione e dolore. L’aspetto più grave è rappresentato dal progressivo danno articolare che riduce significativamente la capacità funzionale e quindi la qualità di vita dei pazienti. In Italia colpisce l’1% della popolazione, esordisce intorno ai 50-57 anni, prediligendo il sesso femminile. Nella maggior parte dei casi ha un esordio subdolo con segni e sintomi che possono essere sottovalutati sia dal paziente sia dal medico, man mano si instaurano le classiche deformità alle piccole articolazioni di mani e piedi e si consolidano le alterazioni biochimiche e radiologiche che, inizialmente possono essere scarsamente rilevanti e sfuggenti. Il decorso clinico è variabile: per lo più si tratta di una malattia persistente con fasi alterne di maggiore o minore attività. La velocità di progressione del danno articolare è più rapida nei primi sei mesi e assai più lenta successivamente, sebbene le alterazioni funzionali continuino a progredire in modo costante.

Ormai numerosi elementi fanno pensare che fin dalle prime fasi si determinino modifiche importanti che condizionano il successivo andamento della malattia. Già uno studio del 1995 metteva in evidenza come in circa il 75% dei pazienti con AR di recente insorgenza si sviluppassero erosioni articolari molte delle quali entro i primi 2 anni. Il danno articolare è quindi molto precoce e questo si può dimostrare con indagini strumentali quali l’RMN che identifica le erosioni ossee molto prima rispetto alla radiologia tradizionale con una sensibilità 7 volte maggiore. In considerazione di questi aspetti, occorre sottolineare l’importanza di una diagnosi tempestiva e dell’inizio precoce di un adeguato trattamento, se possibile entro i 3 mesi dall’esordio, anche in base ai fattori prognostici. L’obiettivo è quindi quello di identificare al più presto la malattia sistemica: in uno studio americano del 1994 si segnalava che solo al 50% dei pazienti veniva posta la diagnosi corretta entro un anno dall’esordio della malattia, e anche quando si manifestava classicamente con interessamento simmetrico delle articolazioni e positività per il fattore reumatoide, veniva identificata solo in 2 casi su 10 entro i primi 3 mesi.

Si definisce come “Artrite precoce” quella di durata non superiore ad 1 anno, si può inoltre riconoscere un’Artrite “molto precoce” se diagnosticata entro 3 mesi dall’inizio dei sintomi. Recentemente sono stati sintetizzati gli elementi di maggior sospetto per AR precoce: 3 o più articolazioni rigonfie; rigidità mattutina maggiore di 30 minuti; interessamento delle piccole articolazioni delle mani e dei piedi con “segno della gronda” positivo. La “manovra della gronda”, facilmente eseguibile, consiste nell’esercitare una pressione latero-laterale delle articolazioni alla base delle dita: la comparsa di dolore è indicativa di una flogosi articolare di possibile natura reumatoide. I rilievi clinici possono trovare il supporto della diagnostica per immagini e delle indagini di laboratorio.

Al di là degli aspetti speculativi, risulta importante identificare nel singolo paziente quegli elementi clinici che suggeriscono una persistenza di malattia e, soprattutto, un’evoluzione verso una prognosi peggiore. In una revisione di diversi studi clinici che prevedevano l’introduzione dei DMARDs (farmaci in grado di modificare il decorso della malattia, quali Idrossiclorochina, Methotrexate, Leflunomide, ciclosporina, Azatioprina) in fasi differenti di malattia, si è dimostrato che un ritardo nell’utilizzo dei farmaci di 6-12 mesi, nella maggioranza dei casi, comporta un peggior risultato in termini di numero di articolazioni interessate, danno radiologico e stato funzionale. I pazienti trattati fin dall’inizio in maniera “aggressiva” e cioè in modo tale da ridurre al minimo il grado di infiammazione, sono quelli che non hanno dimostrato alcun eccesso di mortalità nei successivi anni rispetto alla popolazione sana ed hanno mantenuto costante il grado di abilità funzionale acquisito dopo il miglioramento iniziale.

Negli ultimi anni l’enorme sviluppo delle tecniche di biologia molecolare ha consentito l’introduzione di nuovi farmaci (detti biologici) in grado di colpire selettivamente alcune citochine responsabili dell’infiammazione cronica (terapia target), prevenendo, arrestando e modificando gli effetti lesivi della patologia. I risultati favorevoli sia sul piano clinico che funzionale e radiologico si mantengono durante il proseguimento della terapia e pongono questi farmaci in una posizione di rilievo nell’ambito della strategia terapeutica dell’AR da utilizzare anche nelle forme iniziali al fine di prevenire la progressione del danno radiologico e preservare nel lungo termine l’integrità delle articolazioni. Tale miglioramento dell’evoluzione e della storia naturale della malattia, conseguente al tempestivo trattamento con farmaci biologici, quando giustificato e appropriato, rende sempre più necessario e obbligatorio un accertamento precoce della malattia al fine di instaurare una terapia in linea con le evidenze provenienti dai grandi trial clinici.

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