«…La Fede afferma che non c’è vera umanità se non nei luoghi, nei gesti, nei tempi e nelle forme in cui l’uomo è animato dall’Amore che viene da Dio. Si esprime come dono e si manifesta in relazioni ricche di Amore che è compassione, attenzione e servizio disinteressato verso l’altro. Dove c’è dominio, possesso, sfruttamento, mercificazione dell’altro per il proprio egoismo, l’uomo viene impoverito, degradato, sfigurato.» (Dall’udienza del Papa di mercoledì 17 ottobre 2012). Molto chiaro, S.S. Benedetto XVI, sul senso che il credente deve dare alla Fede. Ma già duemila anni fa l’Apostolo San Giacomo, nella sua lettera, ammoniva i credenti: «LA FEDE SENZA LE OPERE NON VALE NULLA… LA FEDE SENZA LE OPERE È MORTA.» (Gc 2,20.26). Non basta allora credere nell’esistenza di un Dio, “anche il diavolo ci crede”, continua San Giacomo, così come non basta oggi per noi dare l’assenso mentale a tutte le formule dottrinali attraverso le quali il Vangelo di Gesù è presentato. Ma allora, COSA È FEDE? Cosa ci dice Gesù nei Vangeli?
Dai Vangeli emerge che siamo chiamati ad aver Fede in un Dio che è Amore, e che l’Amore può essere trasmesso solo attraverso gesti che comunicano vita, restituiscono vita, arricchiscono la vita degli altri. È per questo che il messaggio di Gesù non può essere ridotto solo a dottrina, e quando lo si fa, esso perde inevitabilmente la sua efficacia. L’Amore non può essere insegnato in teoria, ma solo messo in pratica, non necessita di formule, di parole, ma può essere comunicato solo per contagio. Una dottrina la si può imporre, anche con la forza, chiedendo sottomissione e obbedienza, ma l’Amore che Gesù ci comunica si può solo proporre, offrire in libertà, senza la certezza che sia accolto. Tanto meno l’Amore può essere esclusiva di alcun sistema religioso, non può essere rinchiuso in un tempio, Gesù stesso lo afferma: «Lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8), non può essere monopolio di nessuno, ma abbraccia l’umanità intera.
Consapevoli di questo, che cioè fede e amore sono inscindibili, comprendiamo bene che l’insegnamento di Gesù va prima messo in pratica e poi eventualmente formulato, e non viceversa, onde evitare il rischio che diventi sterile dottrina. Gesù nei Vangeli è chiarissimo, e griderà con la sua vita che Dio è Amore, e questo Amore raggiunge ogni uomo, chiunque sia, dovunque sia, in qualsiasi situazione si trovi. Non è esclusiva del popolo eletto – come credeva Israele – né dei cristiani – come per secoli si è creduto, insegnato e predicato –: l’amore di Dio è per tutti. L’invito per ciò che Gesù fa nel Vangelo di Matteo, al cap. 28, “fate discepoli tutte le genti, battezzando nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, non è solo l’indicazione di un gesto liturgico da fare, è piuttosto un invito ai suoi a far fare ad ogni uomo un’esperienza vitale di Dio, così come loro in Lui l’hanno fatta.
Il verbo greco Baptizo, da cui deriva il nostro “battezzare”, significa “immergere, inzuppare, impregnare”, quindi Gesù sta invitando i suoi ad immergere, impregnare, inzuppare ogni uomo, nel Nome della SS Trinità. Ma che significa “Battezzare nel Nome”? Il nome, nella cultura ebraica, indica la realtà profonda della persona, ciò che realmente è. Nomen omen, dicevano i latini: nel nome è nascosto il destino, il presagio di ogni uomo, perciò Gesù sta raccomandando ai discepoli di comunicare ad ogni fratellola Realtà Trinitaria di Dio, di immergere ogni vita in questo inarrestabile flusso di amore incondizionato che è il Padre, che si manifesta, si realizza, diventa visibile nel Figlio, che è mosso dalla Forza d’Amore che è lo Spirito Santo. Tutto questo si avvera soltanto se i battezzatori, i comunicatori si lasciano coinvolgere in questa avventura d’amore, se prima di ogni catechesi, annuncio, proclamazione, evangelizzazione, essi stessi diventano annuncio vivente del Vangelo di Gesù, testimoni credibili di quella Fede in Dio che è fedeltà alla vita.
Shalom.