Come interpretiamo l’agito degli altri? Come spieghiamo a noi stessi quanto accade circa i comportamenti altrui?
Il nostro modo di interpretare i comportamenti degli altri, amici, fidanzati o colleghi è influenzato dalle rappresentazioni mentali che abbiamo costruito a partire dall’infanzia e quindi dai legami di attaccamento sperimentati con i nostri genitori e/o figure di riferimento. L’esito di queste relazioni condizionerà il nostro modo di comprendere le evidenze altrui. Le esperienze relazionali costruiscono i nostri Modelli Operativi Interni, ovvero le convinzioni che abbiamo su noi stessi e sugli altri all’interno delle relazioni importanti; tali modelli si strutturano a partire dall’infanzia, il bambino interiorizza le primissime relazioni e mette in pratica l’esperienza sviluppata quando sarà più autonomo. I nostri MOI (Modelli Operativi Interni) contengono le previsioni su come si comporteranno coloro che ci stanno intorno ed influenzano il nostro modo di agire, attribuendo agli altri emozioni e comportamenti.
Da adulti osserviamo il mondo e costruiamo la nostra realtà attraverso il filtro di queste rappresentazioni mentali, che sono altamente influenzate dalla qualità dei rapporti interiorizzati durante l’infanzia.
I MOI (Albanese, 2009) sono: “Rappresentazioni mentali, costruite dall’individuo come strutture mentali che contengono le diverse configurazioni (spaziale, temporale, causale) dei fenomeni del mondo e che hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale”.
Nel caso siano state vissute relazioni di accudimento disfunzionali, carenti o abusanti, è probabile che si siano strutturati stili di attaccamento insicuri o disorganizzati, che potrebbero avere conseguenze anche nel modo in cui si costruiscono e si vivono le relazioni importanti in età adulta.
L’aspetto più complicato del recupero da queste esperienze di accudimento non adeguate concerne la capacità di rendersi consapevoli che i propri bisogni non sono stati soddisfatti e quindi dover gestire i modelli relazionali maladattivi internalizzati e le ripercussioni inevitabili degli stessi nella nostra vita relazionale.
Avere una “ferita interiore”
Può essere molto complicato riconoscere di ‘custodire’ una ferita interiore legata agli errori talora involontari compiuti dalle nostre figure di accadimento. Nell’immaginario di un bambino i genitori rappresentano la sicurezza eterna, tutto quello che un genitore ordisce è inequivocabile, il bambino dipende totalmente dal genitore e si affida a tutto quello che lo stesso ricrea per lui. Ogni bambino tende a credere che ciò che accade in casa sia “normale”, che accada anche in tutte le altre famiglie: penserà che il papà utilizzi la violenza “perché mi sono comportato male”, o che la mamma sia arrabbiata perché “sono un cattivo bambino”
Da bambini assorbiamo tutto ciò che ci viene detto su di noi come una verità inconfutabile, assodata. Espressioni negative sul bambino: “Sei un bambino cattivo” o altro, vengono assorbite dal bambino senza avere la capacità di poterle mettere in discussione. Crescendo matura nella persona questo nodo incassato, diventando un adulto convinto di possedere caratteristiche negative.
Pertanto è frequente che si tenda a normalizzare, giustificare, negare certi comportamenti, senza che vi sia una vera e profonda comprensione di come siano andate le cose e delle motivazioni che le hanno prodotte.
Sfatiamo alcuni miti.
1. L’amore va guadagnato
L’amore non è qualcosa di gratuito, deve essere meritato e guadagnato dandosi da fare per gli altri per essere accettati, accondiscendendo alle loro richieste oppure cercando di non infastidire gli altri con bisogni e richieste. Nulla di più erroneo. L’amore non deve essere oggetto di commercializzazione. Si ama senza limiti, si trasferisce amore senza attendere ricompense o solo per ricevere in cambio qualcosa.
2. Non mostrare i propri sentimenti
Spesso accede che i genitori si arrabbino o prendano in giro un figlio a causa della sua sensibilità, definendolo “piagnucolone”. Questo fa sì che i bambini si costruiscano una sorta di “barriera” dietro alla quale nascondere i propri sentimenti e le proprie emozioni, talora considerandoli come elementi di troppo da arginare. Così facendo però si precludono l’opportunità di sviluppare adeguate abilità di gestione delle emozioni stesse.
3. Curare le apparenze
Tale modalità viene ereditata dal genitore particolarmente dedito a curare le apparenze e che considera i propri figli come “estensioni di sé”, pretendendo da questi che siano impeccabili pubblicamente. Di conseguenza il bambino impara che la cosa principale per essere in accordo con i genitori sia curare le apparenze.
4. Non sei abbastanza
Svalutazione, giudizio costante, atteggiamento ipercritico delle figure genitoriali, uniti alla mancanza di validazione e supporto sono responsabili dell’origine di questa convinzione di fondo, che opera silenziosamente e in modo dannoso nella costruzione delle future relazioni.
5. Hai meritato di essere trattato male
Il bambino che vive in un contesto maltrattante giunge alla conclusione di meritare tali maltrattamenti, concettualizza inoltre che l’amore passa attraverso il disprezzo, il dolore, le percosse.
Mettere in discussione questi luoghi comuni appresi durante l’infanzia all’interno di un contesto familiare non adeguato, è un passo importante verso un maggior benessere e una costruzione sana delle relazioni interpersonali.
Occorre imparare a individuare dentro ciascuno di noi quei nodi che tendono a reiterarsi nel tempo. Prendere consapevolezza con quelle che sono le proprie dinamiche abituali e scardinare uno schema letale incistato dentro di se.