Stop alla prduzione di mais ogm in Italia

- Medicina e Salute, Rubriche

Esultano tutti coloro che a gran voce avevano chiesto al Governo italiano lo stop alla coltivazione del mais geneticamente modificato in Italia. La Task Force per un’Italia Libera da Ogm  aveva promosso una grande manifestazione  a Montecitorio per chiedere l’intervento del Governo affinché venisse bloccata la coltivazione di mais Mon 810 di Monsanto sul territorio italiano.

La notizia positiva è che il 12 luglio i ministri della Salute, delle Politiche agricole e dell’Ambiente hanno firmato un decreto interministeriale che vieta in modo esclusivo la coltivazione del granturco Ogm – il mais Mon 810 prodotto da Monsanto – nel Paese. Lo stop resterà in vigore fino all’adozione delle misure previste dal regolamento comunitario 178/2002 che prevedono, tra l’altro l’adozione di norme per garantire la coesistenza tra varietà tradizionali, biotech e biologiche, per un periodo di massimo diciotto mesi. Il provvedimento sarà immediatamente notificato alla Commissione europea e agli altri 27 Stati membri dell’Unione europea e giunge a conclusione della procedura di emergenza attivata dal governo Letta nell’aprile 2013.

“Si tratta di un decreto che è giuridicamente sostenuto anche dal precedente provvedimento di divieto di coltivazione di organismi geneticamente modificati, fondato su analoghe motivazioni, ma adottato il 16 marzo 2012 dal Governo francese e tuttora in vigore. Con il decreto è stato posto fine a una vacatio normativa che negli ultimi mesi aveva reso la situazione legislativa italiana particolarmente caotica e tale da permettere ad alcuni produttori italiani di seminare mais ogm, mettendo a rischio di contaminazione il patrimonio agricolo italiano. Dopo questo primo passo, occorrerebbe andare avanti in primis per approvare la clausola di salvaguardia come hanno richiesto anche le Regioni e soprattutto sostenendo quelle iniziative legislative che considerino l’agrobiodiversità come il caposaldo del sistema agroalimentare italiano e la base fondante del suo carattere distintivo, tale da renderlo competitivo”, afferma Daniela Sciarra, Coordinatrice nazionale settore agricoltura Legambiente.

Ma è vero che gli ogm fanno male all’organismo oppure si tratta di una leggenda metropolitana, un mito da sfatare insomma? Il professor Giuseppe Lamonica dell’Università degli studi di Messina afferma che “in generale, i prodotti Ogm presentano sia luci che ombre. Se da una parte infatti è vero che esiste un impatto ambientale dovuto alla maggiore resistenza della pianta agli antibiotici, allo sviluppo di insetti che resistono alle tossine, alla possibile trasmissione del gene mutato a piante selvatiche e al relativo passaggio delle tossine nei terreni agricoli, dall’altro permettono una certa crescita economica nei paesi in via di sviluppo”.
Secondo uno studio, è stato stimato ad esempio che la coltivazione del cotone GM in India, è stata nel 2003 di 86.240 e nel 2004 di 530.800 ettari. Secondo le stime stilate dal Governo indiano l’incremento della produttività del cotone biotech è stata nel 2003 del 29%. La riduzione degli antiparassitari è stata del 60% e l’aumento del profitto netto per gli agricoltori del 78% rispetto al cotone tradizionale.
Esistono dei motivi chiari per cui utilizzare le biotecnologie, di cui si fa già largo uso nel campo della medicina, ma anche la produzione di chimosina, un enzima per alimenti, è un processo di modifica.
Secondo i dati FDA, ad esempio, dei 35 nuovi farmaci immessi sul mercato nel 2005 ben 20 sono di origine biotech 1054 sono già in fase di sperimentazione (369 biotech) 700 sono in fase di progettazione. Si tratta in sostanza di modifiche apportate fra cellule di sostanze viventi; in agricoltura, a parte le negatività oggettivamente riscontrabili, l’uso di ogm possiede dei vantaggi facilmente riscontrabili, come l’aumento di produttività, la maggiore resistenza ai parassiti, la salvaguardia dei prodotti tipici  e la produzione di nuovi prodotti agricoli (per uso bio-medico e industriale), oltre ai vantaggi per la pianta in sé. “Ma come in tutti i casi in cui si tratta di sperimentazioni”, afferma ancora Lamonica, “è bene operare un bilancio dei costi e dei benefici per non incappare in scelte affrettate e superficiali”.
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