24liveSchool. La “Foscolo” in visita alla Casa di Felicia e Peppino Impastato: l’intervista a Luisa Impastato

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Signora Impastato, per prima cosa la ringraziamo del tempo che ci sta dedicando e vorremmo farle subito una domanda un po’ strana… Se potesse incontrare Peppino, qual è la prima cosa che gli chiederebbe?

Chiamatemi pure Luisa, ragazzi. Comunque, per rispondervi, sicuramente gli chiederei se è soddisfatto di ciò che è riuscito a fare e se è fiero di ciò che la sua storia ha trasmesso.

A quanti anni ha iniziato a prendere in considerazione l’argomento “mafia”? Avrebbe combattuto comunque contro di essa se suo zio non avesse perso la vita proprio per questo?

Sapete, non ricordo il momento preciso in cui mi hanno raccontato per la prima volta ciò che era accaduto, forse intorno ai quattro anni, perché sono cresciuta con questa storia tramite i racconti dei miei parenti, ed è come se l’avessi vissuta direttamente. Invece non mi sono mai posta la vostra seconda domanda, perché quello che sono è il frutto delle mie esperienze, e credo che quello che sono oggi lo sia per quello che è successo a mio zio. Sono molto orgogliosa delle convinzioni di mio zio, che si distingueva dal resto della sua famiglia.

Quanto la sua vita privata è oggi condizionata dall’impegno di perpetuare la memoria di Peppino e Felicia? Sicuramente lei avrà parlato di Peppino ai suoi figli, in che modo gliel’ha raccontato e cosa si aspetta da loro un giorno? Vorrebbe che seguissero le sue orme?

Questa è una domanda molto difficile. Sicuramente la mia vita privata è stata ed è condizionata dal mio impegno, anche a partire dalla mia infanzia, perché quando mio padre ha iniziato a girare per le scuole in tutta Italia per molti anni mi è mancato, e non l’ho guardato con lo stesso punto di vista di mia nonna e di mio padre così come lo vedo adesso. Certamente ho già raccontato la storia di mio zio ai miei figli, e credo che siano anche loro orgogliosi di questa eredità, ma li lascerò liberi di intraprendere la strada che desiderano, come tra l’altro sono stata libera io di farmi carico di questa storia. È una responsabilità bella, di cui vado fiera anche se è abbastanza pesante. Però devono essere loro a sceglierla.

Qual è stata la reazione di Cinisi quando Peppino è stato assassinato? Oggi il paese vi appoggia in questo vostro impegno oppure no? Ci sono cambiamenti nella mentalità del suo paese di cui va fiera dopo la “ribellione” di Peppino?

Bella domanda. Allora, andando per ordine c’è da dire che, quando è morto Peppino, Cinisi non ha sostenuto affatto la nostra famiglia, tant’è che mia nonna e la mia famiglia hanno vissuto un lungo periodo di solitudine durato anni. Il rapporto tra la storia di Peppino e Cinisi è stato sempre difficile e, se al di fuori di Cinisi Peppino è riconosciuto come simbolo della lotta contro la mafia, qui ancora ci sono resistenze. Indubbiamente, però, sono cambiate molte cose. C’è una sensibilità diversa delle nuove generazioni, che aiutano molto “Casa Memoria” con attività volontaria. Perché oggi la maggior parte delle persone che vengono qui a Cinisi lo fanno proprio per scoprire la storia di Peppino.

Come si può combattere la mafia oggi, secondo lei, e come ritiene la combatterebbe Peppino se vivesse nel mondo di oggi? E che strumenti utilizzerebbe?

La mafia oggi ha cambiato forma rispetto a quella che combatteva Peppino, che era abbastanza riconoscibile e visibile. Come diceva mia nonna “per combattere la mafia bisogna partire da se stessi, dalla cultura, che rende uomini e donne liberi”, partire dalla sensibilizzazione e dalla solidarietà, liberarsi da tutto quello che caratterizza la mafia. E bisognerebbe anche insistere sulla responsabilità delle istituzioni, per contrastare la criminalità mafiosa in maniera efficace”. Io, ad esempio, penso che bisognerebbe garantire principalmente alcuni diritti fondamentali, come il diritto ad una vita dignitosa e a vivere in condizioni sociali in cui non si debba ricorrere all’aiuto della mafia.

Vorrebbe riuscire a fare ciò che suo zio non ha potuto fare?

Per rispondere, penso comunque che a vincere non sia stata la mafia, ed oggi quello che ha prodotto – non la morte di Peppino ma la vita di Peppino – è straordinario. La mafia ha voluto zittirlo, ma lui continua a insegnare. E se fosse rimasto in vita sarebbe molto fiero del fatto che si cerchi di dare continuità alla sua storia.

Chiudiamo toccando un attimo la storia recente… Quali sono le sue idee sull’arresto di Matteo Messina Denaro? L’ha offesa vedere che chi ha ucciso centinaia di persone non sia stato messo in manette?

Sapete, per me questa cosa delle manette è irrilevante. Credo che sia stata una cosa importante la vittoria, se così si può definire, delle istituzioni, ma non c’è molto da festeggiare perché è rimasto latitante per trent’anni anni e bisognerebbe attendere delle risposte su tante vicende degli anni ‘90 ancora da chiarire. Comunque l’importante è che sia stato catturato e che si sia dato, soprattutto a voi giovani, un forte segnale di presenza delle istituzioni sul nostro territorio.

Grazie della sua disponibilità, Luisa. Faremo tesoro delle sue parole e dell’esperienza che abbiamo vissuto qui, tra gli oggetti e i ricordi di Peppino. Chissà che tra qualche anno non si ritorni qui a riviverla con maggiore consapevolezza.

Dopo avere percorso i famosi “cento passi” citati nel film di Marco Tullio Giordana ed essere giunti davanti alla casa del boss Gaetano Badalamenti, ora diventata “bene sequestrato alla mafia” a disposizione della comunità e dell’associazione, si è conclusa così una giornata memorabile per gli alunni della “Foscolo” che hanno avuto l’opportunità di viverla e che sicuramente non la dimenticheranno facilmente per i tantissimi spunti formativi che ha offerto. Essa ha dato infatti loro l’opportunità di riflettere e prendere esempio da Peppino, che è stato tra i primi ad avere il coraggio di andare contro il suo stesso contesto familiare mafioso e a denunciare la mafia quando se ne negava anche l’esistenza. Ma la memoria collettiva si nutre di testimonianze e, dopo avere assistito ad una testimonianza esemplare ed avere avuto modo anche di soffermarsi a Palermo su tre luoghi simbolo della lotta alla mafia, tre “luoghi della memoria” da non dimenticare mai – come il Monumento alla Strage di Capaci sull’autostrada, l’Albero della Pace in via D’Amelio e l’Albero di Falcone di via Notarbartolo – si spera che questa opportunità contribuisca a rafforzare una coscienza di legalità, fondamentale nelle nuove generazioni se vogliamo veramente che la mafia sparisca prima o poi dalla nostra terra “bellissima e disgraziata”.

Elisa Cambria e Giulia Valenti

Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G. (ME)

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