Una “Macchia di sangue a Farah”: il viaggio in Afghanistan di Domenico Livoti, zio del Magg. Giuseppe La Rosa

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L’auditorium del parco Maggiore La Rosa ha ospitato la presentazione del libro “Macchia di sangue a Farah” (Europa edizioni) scritto Domenico Livoti, zio del trentunenne Giuseppe La Rosa, comandante del terzo reggimento bersaglieri della Brigata Sassari, che l’8 giugno 2013 perse la vita in un attentato terroristico in Afghanistan, dove stava svolgendo una missione umanitaria di pace. Il Maggiore, insignito della medaglia d’oro al valor militare, è morto per salvare la vita dei suoi tre uomini, a cui ha fatto scudo con il proprio corpo.

Il libro racconta del viaggio intrapreso dallo zio, che da giovane è stato paracadutista della Brigata Folgore, da Gerusalemme a Farah, per onorare una promessa fatta sulla bara del nipote, quella di trovare l’assassino afghano, che ha stroncato la sua vita nel cuore della giovinezza. Il libro non è solo la storia del viaggio fisico compiuto dal protagonista, ma anche del rapporto molto intimo, caratterizzato da enorme complicità, che legava lo zio al nipote, un rapporto simile a quello che lega un padre ad un figlio. Il viaggio avviene non solo nello spazio, ma anche nel tempo e nell’anima del protagonista, trasformandosi in un vero e proprio percorso spirituale, che gli consentirà di scoprire il vero senso della vita e della morte, attraverso un dialogo tra culture apparentemente antitetiche, quella occidentale e orientale, e tra religioni diverse, cristianesimo, islamismo e buddismo.

Il libro – afferma l’autore – presenta diversi piani di lettura. Innanzitutto viene ripercorsa la giornata di estremo dolore vissuta dal protagonista all’arrivo della notizia del tragico avvenimento della morte di Giuseppe, che con i propri racconti aveva incoraggiato ad intraprendere la carriera militare. Il libro non è solo la storia del Maggiore Giuseppe La Rosa, ma, attraverso il viaggio in terre lontane dell’Oriente, il lettore può cogliere la diversità tra le mentalità e occidentali e orientali, e mediante il dialogo interreligioso, arrivare a scoprire sentimenti, che non hanno colore o nazionalità. Infine, l’opera vuole pure costituire un omaggio a tutti gli uomini coraggiosi che riescono a sottrarre ai fanatismi i reperti della storia“.

Nel corso dell’evento a dialogare con l’autore Domenico Livoti è stato Giovanni Mazzeo della Libreria Gutenberg, il quale gli ha rivolto alcune domande, che sono servite a tratteggiare il ritratto umano del Maggiore La Rosa, un giovane buono, che amava i bambini afghani, a cui era solito regalare quaderni e penne, come unici strumenti per tentare di costruire un futuro migliore.