Nella mente ha ancora tanta preoccupazione, ma anche il desiderio di lasciarsi definitivamente alle spalle l’incubo vissuto a causa del Covid e di rinascere, rimanendo come sempre saldamente aggrappato alla vita.
“Ho capito il vero valore di ogni singolo istante della mia giornata e soprattutto l’importanza degli affetti familiari”.
Sono queste le parole con cui commenta la sua disavventura contro il Covid il barcellonese Mario Barresi, 44 anni, che è riuscito a superare la malattia dopo un mese di dura lotta. Adesso guarda alla propria esistenza con occhi nuovi, avendo imparato a prendere la vita non troppo sul serio, ma anche a tralasciare le cose futili e ad arrabbiarsi veramente solo quando ne vale la pena.
Si sente un privilegiato, uno di quelli che, dopo aver sfiorato la morte, è riuscito a vincere un virus, che l’ha costretto, tra fine gennaio e fine febbraio, a trenta giorni di ricovero al Policlinico universitario di Messina, dove è giunto il 27 gennaio in condizioni molto critiche.
Mario, che in passato aveva superato anche un infarto, ha contratto il Covid, a causa di un contatto stretto con un positivo.
Ad essere contagiate, anche se in maniera asintomatica o paucisintomatica, sono state pure la moglie e le sue due figlie, la prima di sei anni e la seconda di appena due mesi.
Il manifestarsi dei primi sintomi
“Il Covid è una malattia molto subdola ed insidiosa – racconta Mario – che è entrata in punta di piedi nella mia vita fino a degenerare e a provocarmi una seria polmonite unilaterale. Nonostante il primo tampone rapido fosse negativo, il giorno dopo, il 16 gennaio, ho iniziato ad accusare tosse e febbre alta. In un primo momento ho curato i sintomi come se fossero di una banale tracheite. Col passare dei giorni, però, la febbre si è fatta sempre più insistente fino a d apparire come un mostro che mi stesse divorando. Grazie all’intuizione del mio medico di famiglia, per fortuna ho intrapreso una cura a base di antibiotici e cortisoni, senza aspettare il secondo tampone fissato dieci giorni dopo.
Il ricovero in ospedale
Tuttavia, la mia situazione clinica è precipitata improvvisamente tra il 25 e il 26 gennaio. Mi mancava il fiato e non riuscivo a reggermi in piedi, la febbre non passava in alcun modo. Mia moglie ha così insistito per chiamare i soccorsi. Sono finito al Policlinico con una febbre da cavallo e senza più il respiro. Lì sono stato per parecchi giorni con la mascherina dell’ossigeno. I medici mi hanno detto che se fossero intervenuti solo 24 ore forse non sarei stato qui a raccontare questa storia.
La solitudine dei malati Covid
Durante il ricovero mi sono sentito spesso solo, nonostante l’affetto costante di familiari ed amici. Molti mi hanno inondato di messaggi di solidarietà. Mi ha aiutato anche la presenza gentile e disponibile di tutto il personale sanitario. A stremarmi psicologicamente è stato, però, vedere morire persone che fino al giorno prima erano ricoverate nella stanza accanto. Il giorno più brutto della degenza è stato quello del sesto compleanno di mia figlia, quando, a causa della mancanza di giga nel telefonino, non ho potuto farle una videochiamata“.
Il pericolo scampato
Nonostante i momenti di grande paura e di sconforto Mario ha preso consapevolezza del serio rischio corso solo quando è uscito dalla prognosi riservata. Come il naufrago che, scampato dalla tempesta, solo quando è giunto in salvo sulla riva ha il coraggio di voltarsi a guardare il mare in burrasca, così si è reso conto dell’immensa fortuna di essere ancora vivo: “Grazie a Dio, alla bravura dei medici e alla tempestività degli interventi ce l’ho fatta. Intervenire nei primi giorni in cui si manifestano i sintomi è fondamentale per salvarsi”.
Il monito a chi sottovaluta il virus
Oggi guarda con preoccupazione e con una punta di rabbia le persone, che con molta superficialità parlano del Covid come se fosse il frutto di complotti politici internazionali o mediatici: “Mi fa rabbia sentire ancora molta gente sottovalutare il virus. Spesso si parla di una banale influenza o di una montatura per favorire lobby affaristico ecomomiche. A darmi ancora più fastidio sono coloro che esorcizzano la paura, affermando che a morire sono solo gli individui con patologie pregresse. Peccato che spesso tra questi ci siano anche donne e uomini che, come me, hanno appena superato i 40 anni e che probabilmente avrebbero ancora tanti anni da vivere. E se a morire fossero solo anziani, pure loro avrebbero il diritto di sperare ancora in anni sereni accanto ai propri cari.
Purtroppo, molti non capiranno cosa significa veramente il Covid se non prima lo avranno provato sulla propria pelle. Sono trascorsi quasi tre mesi dalla dimissione dall’ospedale, ma ancora mi sento spesso stanco, mi affanno facilmente ed i miei polmoni recano rilevanti tracce dei danni del virus”.